Licenziamento – Tutela – Concetto Di Unità Produttiva – ( Tribunale Di Milano, Sezione Lavoro, Sentenza n. 3901 Del 2 Ottobre 2009 )

TRIBUNALE DI MILANO-SEZIONE LAVORO

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Giudice Unico, dott. Angela Cincotti, in funzione di giudice del lavoro,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Nella causa n. 1275/09

promossa da

S.C., con gli avv.ti F. L. M.

CONTRO

P. s.p.a. , con l’Avv. Massimo Goffredo

Oggetto: impugnazione licenziamento

FATTO E DIRITTO

Con ricorso depositato il xxxxx, il sig. S. C., premesso di essere stato assunto in data 16/5/2007 dalla E. poi di venuta P. Spa., con qualifica di Quadro di 1° livello e mansioni di gestione del settore marketing nell’ambito delle responsabilità a lui delegate dal Direttore generale Dott . A. B.; di essersi in concreto occupato dell’analisi dei dati di diffusione e di lettura del quotidiano, dei dati della raccolta pubblicitaria e dei concorrenti nell’ambito del mercato di riferimento, dell’attività di presentazione di E. P. ai vari clienti utenti della pubblicità, dei rapporti con gli istituti di analisi e di ricerche di mercato, dell’individuazione delle opportunità di sviluppo del fatturato attraverso azioni promozionali; premessa la descrizione della struttura della P., Società concessionaria alla quale E. P. Spa – società editoriale che gestisce tutte le dizioni del quotidiano gratuito E. P. – aveva affidato a partire dal 2 maggio 2007 la raccolta pubblicitaria sia per la parte “locale” che per la parte “nazionale”; esponendo ancora che fin dal primo mese di attività la concessionaria P. era riuscita non solo a mantenere ma addirittura ad incrementare i livelli di fatturato raggiunti dalla precedente concessionaria P., sia a livello nazionale che locale, registrando un positivo andamento economico finanziario che da maggio ad ottobre 2007 aveva fatturato € 6.752.000,00 somma che, considerati i costi del personale, degli agenti, delle spese generali, consentiva un margine abbondantemente positivo compreso tra 2.000.00 ed € 2.500.000,00; lamentava che con lettera 30/10/07 era stato licenziato con la sorprendente e generica motivazione che la società si era trovata in una grave crisi economico- finanziaria e che si era reso necessario attuare una nuova organizzazione al fine di una piè economica gestione dell’impresa con riduzione dei costi che aveva condotto alla decisione di sopprimere le posizioni di lavoro di 3 Quadri impiegati negli uffici di Milano(2) e di Mestre(1) le cui funzioni sarebbero state assorbite dai dirigenti responsabili delle Aree in cui detti Quadri attualmente operavano. Contestava quindi la sussistenza dei pretesi motivi legittimanti il suo licenziamento. Argomentava articolatamente in fatto ed in diritto, ed in particolare sull’applicabilità dell’art. 18 Legge 300/70, richiamando la giurisprudenza sulla nozione di unità produttiva rilevante ai fini del computo dei dipendenti, rilevando che la concessionaria P. aveva una struttura molto complessa, articolata in molteplici sedi dislocate su tutto il territorio nazionale, tutte facenti capo alla centrale di Milano, ove egli prestava servizio; che le varie sedi locali erano uffici operativi privi di ogni e qualsiasi autonomia funzionale e svolgevano attività meramente strumentale ed ausiliaria rispetto alla sede principale di Milano che le guidava e ne organizzava il lavoro. Evidenziava che era infatti la sede di Milano che decideva le politiche commerciali che le varie filiali dovevano seguire, che assegnava gli obbietti di vendita e distribuiva i clienti nel portafoglio degli agenti operanti nelle varie sedi decentrate; che a Milano venivano raccolte le richieste di inserzione provenienti dalla rete di vendita e definiva l’allocazione degli spazi disponibili per la pubblicità tra clienti nazionali e clienti locali sulla base delle richieste pervenute: che Milano coordinava e programmava gli spostamenti delle inserzioni nel caso di sovrapposizioni di richieste per le stesse pagine nei medesimi giorni: che in definitiva gli uffici locali necessitavano di una direzione unitaria, di una direzione e di un coordinamento che non poteva che essere affidato ad un ufficio centrale. Deduceva quindi che tutti gli operatori delle varie filiali sparse sul territorio, in numero superiore a 40 unità, dovevano considerarsi dipendenti della sede centrale milanese con la conseguente applicabilità dell’art. 18 L 300/70.

Conveniva pertanto in giudizio la ex datrice di lavoro chiedendo al giudice adito di accertare senza giustificato motivo l‘intimato licenziamento del 30/10/07, annullare il medesimo e per conseguenza ordinare ha reintegrazione di S. C. nel posto di lavoro e condannare la convenuta al risarcimento del danno pari alle retribuzioni globali di fatto nella misura mensile di € 3.750,00 dalla data del licenziamento sino all’effettiva reintegrazione, in ogni caso non inferiore a cinque mensilità con il favore delle spese di causa.

Si costituiva la società convenuta resistendo a tutte le domande.

Eccepiva in via preliminare la decadenza dall’azione per omessa impugnazione del licenziamento e per mancato esperimento del tentativo di conciliazione.

Sosteneva nel merito l’infondatezza delle domande di cui chiedeva l’integrale rigetto, ovvero, in caso di condanna al risarcimento, contenerne la misura in 2,5 mensilità.

Tentata senza esito la conciliazione delle parti, è stato escusso un teste ed all‘esito della discussione il giudice ha deciso come da dispositivo di cui ha dato lettura.

Le eccezioni di improcedibilità e di decadenza dall’azione sono state disattese in quanto il ricorrente ha prodotto la richiesta ex art. 410 c.p.c, regolarmente pervenuta alla DPL ed alla convenuta il 9/11/07. Nella medesima è tenorizzata la esplicita impugnazione del licenziamento sicuramente tempestiva. Il giudice non ha ritenuto, come eccepito dalla parte convenuta, la tardività di tale produzione, avvenuta alla prima udienza di discussione e comparizione parti, primo momento utile dopo il deposito in cui erano state formulate le eccezioni di parte convenuta, perché quanto alla improcedibilità del ricorso, pur trattandosi di questione rilevabile d’ufficio non si tratta di rilievo indefettibile tale da impedire, anche ove non esperito il tentativo, la regolare prosecuzione del giudizio (così che è possibile accertare, come nella specie, l’infondatezza dell’eccezione); e, quanto alla decadenza ex art. 6 L.604/1966, si tratta, come noto, di questione che deve essere oggetto di eccezione in senso proprio, non rilevabile d’ufficio, attenendo ad un diritto disponibile (Cass., 02—02— 1991, n.1035) e pertanto deve ritenersi ammissibile la dimostrazione di aver ottemperato all’onere tempestivo di impugnazione dopo la relativa eccezione della parte convenuta, purché, come nella specie, nel primo momento processualmente utile.

Nel merito si osserva che la convenuta non ha offerto alcuna adeguata dimostrazione della legittimità del licenziamento adottato nei confronti del ricorrente pochi mesi dopo l’assunzione.

La motivazione della “grave crisi economico-finanziaria come effetto della crisi di E. P. Spa” che avrebbe “reso necessario attuare una nuova organizzazione al fine di una piè economica gestione dell’impresa con riduzione dei costi” determinante la decisione di sopprimere le posizioni di lavoro di 3 Quadri impiegati negli uffici di Milano e di Mestre con conseguente assorbimento delle relative funzioni da parte dei Dirigenti responsabili delle aree, non è stata dimostrata dalla convenuta, onerata della prova ai sensi dell’art. 5 L. 604/1966.

Per consolidato orientamento della Suprema Corte nella nozione di giustificato motivo oggettivo di licenziamento è riconducibile anche l’ipotesi del riassetto organizzativo dell’azienda attuato al fine di una piè economica gestione di essa e deciso dall’imprenditore non semplicemente per un incremento del profitto, ma per far fronte a sfavorevoli situazioni, non meramente contingenti, influenti in modo decisivo sulla normale attività produttiva, imponendo un’effettiva necessità di riduzione dei costi; tale motivo oggettivo è rimesso alla valutazione del datore di lavoro, senza che il giudice possa sindacare sulla scelta dei criteri di gestione dell’impresa, atteso che tale scelta è espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 41 cost., mentre al giudice spetta il controllo della reale sussistenza del motivo addotto dall’imprenditore con la conseguenza che non è sindacabile nei suoi profili di congruità ed opportunità la scelta imprenditoriale…….” (v. da ultimo Cass. 21282/2006).

Nessuna prova idonea è stata offerta dalla convenuta, esercente l‘attività di concessionaria per la raccolta pubblicitaria del quotidiano gratuito E. e di altre pubblicazioni diffuse in varie località nazionali circa l‘esistenza della addotta grave crisi economica-finanziaria. La stessa si è limitata a dedurre che “nel luglio 2007 la società editoriale e di conseguenza anche la concessionaria di pubblicità, cadeva in grave crisi talchè sospendeva la pubblicazione dei quotidiani gratuiti” (cap. 9) e che “solo nel settembre dello stesso anno 2007, a seguito di un cambio dell’assetto societario e di una ricapitalizzazione riprendeva la pubblicazione dei quotidiani e di conseguenza, la raccolta pubblicitaria” (cap. 10); che “veniva costituita anche una nuova struttura gestionale con la sostituzione dei vertici societari e i nuovi amministratori analizzavano la situazione aziendale rilevando un eccessivo carico di costi anche per il personale” (cap. 11); che “onde consentire la prosecuzione dell’attività e non ricadere in stato di crisi la società decideva quindi di dar corso ad una riorganizzazione che prevedeva anche la soppressione di alcune posizioni lavorative sia su Milano sia in altre unità produttive quali Mestre, ovvero l’accorpamento di alcune funzioni” (cap.12).

La genericità di tali capitoli di prova, non supportati da alcuna produzione documentale, da dati relativi a fatturati, perdite e costi, è evidente e non è stata in fatti espletata l’istruttoria orale. Dagli stessi capitoli di prova, anche ove date per ammesse le circostanze dedotte, si ricava poi che al piè si è trattato di condizioni sfavorevoli del tutto contingenti (da luglio a settembre) tali da rendere priva di giustificato motivo l’atto di recesso nel mese di ottobre.

Il licenziamento va dunque ritenuto illegittimo.

La materia del contendere, in relazione alla quale è stata espletata l’istruttoria e sulla quale vi è stata articolata discussione dei procuratori delle parti, riguarda l’applicabilità della tutela reale e piè in particolare il computo dei dipendenti essendo pacifico che sull’intero territorio nazionale la convenuta che ha sede in Cagliari, conta circa 40 dipendenti e che presso l’unità produttiva di Milano, ove era addetto il ricorrente erano i impiegati in totale i 11 dipendenti di cui 2 dirigenti (v. prospetto allegato sub doc. 1 di parte convenuta, non contestato dalla parte ricorrente).

La tesi della parte ricorrente fa leva sull’accentramento a Milano di tutte le funzioni fondamentali dell’impresa cui farebbero capo tutte le microstrutture sparse sul territorio nazionale, circa I5, prive di effettiva autonomia decisionale il cui organico esiguo (un addetto di filiale e uno o al piè due impiegati) andrebbe computato unitamente a quello di Milano cosi ascendendo ad un numero di dipendenti complessivamente superiore a 15.

Secondo la convenuta, il cui compito, pacificamente. è quello di reperire inserzionisti disponibili a inserire nelle pubblicazioni della società editrice spazi e inserti pubblicitari, ogni unità operativa dislocata sul territorio nazionale sarebbe dotata di una struttura autonoma di carattere amministrativo che supporta i venditori (tutti agenti) raccogliendo gli ordini, curando la trasmissione delle inserzioni pubblicitarie alla cassa editrice etc.

I Principi applicabili alla materia in discussione sono noti.

Secondo la Cass. 23-12-1991, n. 13911 “Per configurare l’unità produttiva ai sensi dell’art. 35 l. n. 300/1970, non è sufficiente una qualsiasi articolazione dell’impresa nella quale operino uno o piè dipendenti, ma occorre articolazione autonoma avente, sotto il profilo funzionale o finalistico, idoneità ad esplicare, in tutto o in parte, l’attività di produzione o scambio di beni o servizi dell’impresa, della quale costituisca quindi una componente organizzativa, connotata da indipendenza tecnica e amministrativa, tale che in essa si possa concludere una frazione dell’attività produttiva aziendale; con la conseguenza che il lavoratore addetto ad un articolazione dell’impresa non configurabile come unità produttiva va considerato come lavoratore esterno dell’unita produttiva cui la sua attività è riferibile e perciò computabile ai fini del livello occupazionale di tale unità”.

Secondo due pronunce citate dalla stessa parte ricorrente “Per unità produttiva ai sensi degli art. 18 e 35 statuto lavoratori deve intendersi ogni articolazione aziendale autonoma avente, sotto il profilo funzionale e finalistico, idoneità ad esplicare, in tutto o in parte, l’attività dell’impresa, talché in essa si possa concludere una frazione dell’attività produttiva ed aziendale (v. Cassaz. 11354/1993), ed ancora, “Sotto il profilo dei requisiti dimensionali della tutela c.d. reale, a norma dell’art. 18 l. n. 300 del 1970, contro i licenziamenti illegittimi, una unità produttiva deve considerarsi priva di autonomia – con la conseguenza che il numero dei relativi dipendenti va sommato a quello dei lavoratori operanti presso l’unità produttiva a cui la medesima fa capo, anche se ubicata in un altro comune – se ha scopi puramente strumentali ed ausiliari rispetto ai fini produttivi dell’impresa, mentre può ritenersi dotata di autonomia se caratterizzata da sostanziali condizioni imprenditoriali di indipendenza tecnica ed amministrativa, tali che in essa si esaurisca per intero il ciclo produttivo o una frazione o un momento di esso (laddove, con riferimento alle articolazioni organizzative dei datori di lavoro non imprenditori e a seguito della l. n. 108 del 1990, rileva quella autonomia amministrativa o funzionale che sia capace di realizzare, anche se solo in parte, l’attuazione dello scopo perseguito dal datore di lavoro): “Cass., sez. lav.. 10-1 1-1997, n. 11092”

Va anzitutto posto in rilievo che ai fini dell’autonomia della singola articolazione aziendale non occorre l’idoneità ad esplicare tutta l’attività di impresa essendo sufficiente che si tratti di un’unità nella quale si esaurisca, in condizioni di indipendenza tecnica ed amministrativa, il ciclo relativo anche ad una frazione o ad un momento essenziale dell’attività produttiva aziendale.

Nella pronuncia 11354/1993, valorizzata dalla parte ricorrente, la Suprema Corte ha escluso tali caratteri per la redazione distaccata di un quotidiano, in considerazione della sua stretta dipendenza dalla sede centrale, presso la quale si completava la frazione di attività produttiva e leggendo la motivazione si rileva che correttamente era stata esclusa l’autonomia di una redazione distaccata di Cantè rispetto alla redazione di sede di Como osservando che la sentenza impugnata aveva messo in luce persino l’esigenza di una presentazione fisica dei redattori “canturini” a Como, e che l’autonoma esplicazione di una “frazione” dell’attività produttiva era stata negata in considerazione sia del rapporto di stretta dipendenza funzionale della redazione di Cantè dalla sede di Como, sia della necessità che la “frazione di attività produttiva” venisse completata a Como, non solo per la materiale produzione delle pagine, ma anche per la loro programmazione, per la determinazione qualitativa e quantitativa dei pezzi e per la composizione degli stessi (in sostanza per ogni aspetto fondamentale dell’attività redazionale).

Nella seconda pronuncia sopra citata la Suprema Corte aveva esaminato la sentenza del Tribunale che aveva escluso l’autonomia di cui si discute in relazione ad un semplice “deposito delle merci” provenienti dalla sede centrale di Alessandria”, deposito ove, oltre al dipendente licenziato, lavoravano solo altri due dipendenti che erano soggetti a tutte le direttive provenienti da Alessandria affermando che i lavoratori occupati in una unità produttiva non autonoma nella quale siano occupati sino a 15 dipendenti possono usufruire della stabilità reale allorquando l’unità di appartenenza, per avere scopi puramente strumentali ed ausiliari rispetto ai fini produttivi dell’impresa, costituisce parte integrante di altra unità produttiva, dotata di propria autonomia, per caratterizzarsi per sostanziali condizioni imprenditoriali di indipendenza tecnica ed amministrativa, tale che in essa si esaurisca per intero il ciclo produttivo o una frazione di esso o un momento essenziale di esso.

Applicando i suddetti principi alla fattispecie che occupa si deve anzitutto evidenziare che l’oggetto dell’attività della convenuta, che pur deve coordinarsi con l’editore, è la raccolta della pubblicità.

Dall’unica ma articolata deposizione acquisita del teste B., ex direttore generale della sede di Milano, è emerso che la pubblicità veniva raccolta per le due fondamentali linee, quelle nazionale e quella locale (quest’ultima è quella che veniva raccolta presso i vari utenti aventi sede nei singoli luoghi sparsi sull’intero territorio nazionale).

La funzione marketing gestita dal C., riguardava tutta la rete nazionale “Le argomentazioni di vendita così come le politiche commerciali venivano diramate su tutto il territorio nazionale per quanto riguarda la c.d. linea nazionale che concerne la raccolta della pubblicità dei grandi utenti”. “Vi era poi una linea locale che si occupava della raccolta della pubblicità a livello locale…. C’era una funzione rnarketing anche a Cagliari non limitata a quella zona ma sempre concernente tutto il territorio in genere e vi era uno scambio di informazioni tra Cagliari e Milano da tale punto di vista. C‘erano due persone a Cagliari che si occupavano del marketing….il marketing seguito a Cagliari concerneva l’analisi dei fatturati di tutte le edizioni con i relativi report… per tutte le filiali locali sparse sul territorio. Quello di Milano riguardava come ho già detto i grandi utenti……..a Roma non c’è un direttore marketing ……le argomentazioni di marketing che arrivavano a Roma erano quelle di Milano”.

“C’erano un direttore commerciale o vendite a Milano … e uno a Roma entrambi per la pubblicità nazionale (grandi utenti), gestivano la forza vendite, applicavano le politiche commerciali, vendevano, tramite la rete degli agenti”.

“Ogni filiale locale, circa una quindicina su tutto il territorio, aveva un proprio responsabile commerciale per la vendita locale. Tali responsabili commerciali facevano capo ad un direttore che sta a Firenze.”

“Quanto alla pubblicità nazionale (grandi utenti) la vendita era attuata da strutture agenziali situate in Veneto, Piemonte, Emilia Romagna, Toscana. Tali strutture facevano riferimento a me. Roma aveva un suo direttore che …… cui facevano riferimento gli agenti del posto, così avveniva a Milano per gli agenti della Lombardia…. Ogni filiale avrà avuto un numero di dipendenti da uno a tre quali facevano capo oltre che al responsabile di filiale…….al direttore commerciale di Firenze. Nelle filiali i dipendenti di occupavano della segreteria e della impaginazione della pubblicità locale cioè del riempimento degli spazi disponibili nella locale. Tutto ciò si doveva incrociare o coordinare con l’impaginazione nazionale nel senso che una parte degli spazi pubblicitari doveva essere dedicato anche alla pubblicità nazionale. P. è concessionaria dell’editoriale E. P. che pubblica 15 edizioni…. Nel giornale di ogni edizione vi è in parte pubblicità locale ed in parte pubblicità nazionale. Il coordinamento di tali riempimenti avveniva a Milano da parte di una persona ¬ B. M. – che verificava la disponibilità dei vari bacini delle singole edizioni per inserire la pubblicità nazionale. È ovvio che la parte pubblicitaria di cui ci occupiamo noi P. doveva coordinarsi con la parte editoriale relativa alla informazione in genere e quindi con l’editore e con la redazione etc… che sta a Cagliari.”

“L’amministrazione della società P. era a Cagliari. lo sono stato assunto a Milano ma la lettera era di Cagliari anche perché la sede di P. è a Cagliari… lo ho fatto il colloquio di lavoro con C. a Milano poi la lettera di assunzione è partita da Cagliari. I dipendenti delle filiali non li ho assunti io quantomeno non tutti. Credo che abbia provveduto G. che era l ‘Amministratore Delegato che sta a Cagliari.

Con G. ci siamo divisi i compiti, io mi sono occupato della nazionale e G. della locale, quindi anche gli aspetti relativi alla gestione del personale gli addetti alle filiali facevano riferimento a G. quelli della nazionale (quindi Milano e Roma ) facevano riferimento a me. A Roma c’erano 4 dipendenti due dedicati all’attività nazionale e due a quella locale

Ora, anche volendo disattendere la tesi di parte convenuta secondo la quale ogni singola filiale delle circa quindici presenti su territorio sarebbe autonoma, e seguendo la nozione di autonomia dell’unità produttiva che può ravvisarsi quando in essa si svolga almeno una frazione del ciclo produttivo in condizioni di autonomia tecnico amministrativa, non può non rilevarsi che sono identificabili almeno due fondamentali unità produttive aventi dette caratteristiche, l’una a Milano e l’altra Cagliari, in relazione alle due linee nazionale e locale, cui anche tutte le altre filiali facevano capo dal punto di vista funzionale ed amministrativo.

È emerso infatti che sia a Milano che a Cagliari vi era la funzione marketing e che dall’una e dall’altra sede veniva gestito il personale dal punto di vista amministrativo.

Quanto alla funzione commerciale si è visto che vi erano un direttore a Milano ed uno a Roma ma entrambi per la linea nazionale (grandi utenti) ed anche se è stato affermato che il Direttore Commerciale delle filiali (quindi per la linea locale) stava a Firenze, è comunque emerso che la linea locale non veniva gestita da Milano ma da Cagliari, quantomeno per tutti gli aspetti della gestione del relativo personale e quindi dal punto di vista amministrativo.

Non scalfisce queste conclusioni, ad avviso del giudicante, la mera circostanza che a Milano vi fosse una persona che coordinasse il riempimento degli spazi in relazione alle esigenze della pubblicità nazionale e di quelle della locale, secondo quanto concordato a monte con l’editore (che tra l’altro sta a Cagliari e che costituisce momento di collegamento, necessario, ma esterno alla struttura della diversa società P., concessionaria della pubblicità, e quindi indifferente ai fini del decidere), dal momento che il mero coordinamento di cui si discute non configura una dipendenza funzionale in senso stretto, come nella vicenda relativa alla redazione distaccata di Cantè rispetto a quella di Como affrontata dalla Suprema Corte in relazione alla attività editoriale, diversa da quella della raccolta pubblicitaria di cui si discute).

Anche volendo quindi considerare il personale di Roma come facente capo all’unità produttiva di Milano, cui apparteneva il C. (personale che come affermato dal teste B. faceva riferimento a lui che stava appunto Milano), il numero dei dipendenti salirebbe a 13 (poiché il teste ha affermato che a Roma solo due persone si occupavano della nazionale a lui facenti capo), o al massimo a 15, comunque al di sotto della soglia necessaria per la richiesta tutela reale.

Dalle esposte considerazioni deriva che al ricorrente può accordarsi la sola tutela obbligatoria.

Il Giudice non ritiene ostativa a tale tutela la circostanza che il ricorrente si sia limitato a richiedere l’applicazione dell’art. 18 L. 300/70, ricordando che secondo la Suprema Corte “Proposta dal lavoratore una domanda di nullità del licenziamento e di reintegrazione nel posto di lavoro ai sensi dell’art. 18 l. 20 maggio 1970 n. 300, tale petitum deve ritenersi comprensivo di quello concernente il riconoscimento della minore tutela di cui all’art. 8 l. 15 luglio 1966 n. 604, con la conseguenza che non viola il principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato la sentenza con la quale il giudice adito, ritenendo carenti le condizioni per l’operatività dell’invocata tutela tale, condanna, tuttavia, il datore di lavoro, che abbia intimato il licenziamento illegittimo, alla riassunzione del lavoratore o, in alternativa, a corrispondergli l’indennità di cui al citato art. 8 l. n. 604 del 1966. (v. Cass.. 09—09—1991, n. 9460 e vedi (Cass., sez. lav., 11—09—1997, i. 8906 e Cass., sez. Lav., 11 -09 -1997, n.8906 le quali ultime hanno ritenuto ammissibile la domanda diretta ad ottenere la tutela obbligatoria proposta per la prima volta in appello dal lavoratore che in grado aveva formulato la sola domanda reintegratoria).

Nel caso di specie poi la stessa parte convenuta ha eccepito che in via subordinata sarebbe applicabile la tutela obbligatoria e tale rilevo appare assorbente della questione.

Benché il rapporto abbia avuto una esigua durata, la mancanza di consistenti motivi per procedere al licenziamento e la dimensione dell’organico aziendale, anche nella ricostruzione ritenuta dal giudicante, è molto vicino a quello che avrebbe consentito l’applicazione della tutela reale, inducono a riconoscere un risarcimento del danno pari a cinque mensilità della retribuzione globale di fatto indennità, nella misura di € 18.750.00 ( 3.214,29 come da busta XXXXXX), oltre rivalutazione di interessi dalla cessazione del rapporto al saldo. L’esito complessivo del giudizio giustifica la compensazione delle spese per un terzo condannandosi la convenuta alla rifusione dei residui due terzi liquidati in complessivi € 2.555,00 come da dispositivo).

La sentenza è provvisoriamente esecutiva per legge.

P.Q.M.

Dichiara l’illegittimità del licenziamento comunicato al ricorrente in data 29/10/07 condanna la convenuta alla riassunzione del ricorrente entro tre giorni o in mancanza al risarcimento del danno mediante versamento di una indennità di complessivi € 18.750.00 — pari a cinque mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto — oltre rivalutazione ed interessi dalla cessazione del rapporto al saldo;

Compensa le spese per un terzo e condanna la convenuta alla rifusione dei residui due terzi liquidati in complessivi € 2.555.00 (80,00+800,00+ 1.400.00 + 12.5%) oltre oneri di legge.

Milano 17/9/09

Il Giudice

Dott. Angela Cincotti

N.B. La Giurisprudenza si è espressa anche in altre occasioni sul concetto di unità produttiva ai sensi degli art.18 e 35 Stat. Lav., chiarendo che:

  • “una dipendenza dell’impresa può essere considerata unità produttiva autonoma ai fini dei requisiti dimensionali di cui all’art. 18 st. lav. allorché sia connotata da una organizzazione sufficiente a esplicare, in tutto o in parte, l’attività di produzione di beni e di servizi dell’impresa”, Tribunale Milano 20 dicembre 2001, (D.L. Riv. critica dir. lav. 2002, 433);
  • “Per unità produttiva ai sensi degli artt. 18 e 35 Statuto Lavoratori deve intendersi ogni articolazione aziendale autonoma avente, sotto il profilo funzionale e finalistico, idoneità ad esplicare, in tutto o in parte, l’attività dell`impresa, talché in essa si possa concludere una frazione dell’attività produttiva ed aziendale”, Corte di Cassazione 17 novembre 1993 n. 11354 (Banca dati Unico Lavoro);
  • “Per unità produttiva, in relazione alla quale va calcolato anche il numero dei dipendenti al fine di riconoscere al lavoratore licenziato una tutela reale, s’intende qualsiasi articolazione autonoma dell’impresa avente, sotto il profilo funzionale o finalistico, idoneità ad esplicare, in tutto o in parte, l’attività di produzione di beni o servizi dell’impresa, della quale costituisce, quindi, una componente organizzativa connotata da indipendenza tecnica e amministrativa, tali che in essa si possa concludere una frazione dell’attività produttiva aziendale, e perciò distinta dagli organismi aziendali minori che non presentano le suddette caratteristiche” Cassazione civile, sez. lav., 20 aprile 1995, n. 4432;
  • “Per configurare l’unità produttiva ai sensi dell’art. 35 legge n. 300 del 1970, non è sufficiente una qualsiasi articolazione della impresa nella quale operino uno o più dipendenti, ma occorre una articolazione autonoma avente, sotto il profilo funzionale o finalistico, idoneità ad esplicare, in tutto o in parte, l’attività (di produzione o scambio di beni o servizi) dell’impresa, della quale costituisca, quindi, una componente organizzativa, connotata da indipendenza tecnica e amministrativa, tali che in essa si possa concludere una frazione dell’attività produttiva aziendale; con la conseguenza che il lavoratore addetto ad un’articolazione dell’impresa non configurabile come unità produttiva va considerato come lavoratore esterno dell’unità produttiva cui la sua attività è riferibile e perciò computabile ai fini del livello occupazionale di tale unità”, Cassazione civile , sez. lav., 09 giugno 1993, n. 6413;
  • “Per unità produttiva, ai sensi degli art. 18 e 35 della legge n. 300 del 1970 (nel testo anteriore alla legge n. 108 del 1990) ed ai fini della verifica della sussistenza della stabilità del rapporto di lavoro (la cui mancanza impedisce il decorso – in pendenza del rapporto stesso – della prescrizione quinquennale dei crediti del lavoratore ex art. 2948 c.c.), deve intendersi ogni articolazione avente una propria organizzazione produttiva ed un’autonoma funzionalità; tali criteri – il cui accertamento è emanato al giudice di merito – possono rinvenirsi anche nella redazione distaccata di un giornale, che fornisca in modo ampio e sistematico notizie dettagliate per la pagina locale, con i criteri in uso per la cronaca cittadina, senza che sia necessario un autonomo e compiuto risultato produttivo, conseguibile solo quando le notizie fornite assumono (attraverso un processo di selezione, intitolazione, scelta del carattere, della posizione, ecc.) la veste definitiva della carta stampata”, Cassazione civile , sez. lav., 18 febbraio 1993, n. 1989;
  • “per condizioni imprenditoriali di indipendenza tecnica e amministrativa tali che in essa si esaurisca per intero il ciclo relativo ad una frazione o ad un momento essenziale dell’attività produttiva aziendale”, Cassazione civile sez. lav. 4 ottobre 2004 n. 19837 (Orient. giur. lav. 2004, I, 943).
  • Il concetto di unità produttiva va inteso come ogni articolazione dell’impresa o azienda avente, sotto il profilo funzionale e finalistico, idoneità ad esplicare, in tutto o in parte, l’attività di produzione di beni o servizi dell’impresa o azienda della quale è elemento organizzativo. L’autonomia dell’unità produttiva non postula necessariamente l’esistenza di un soggetto ad essa preposto dotato di poteri rappresentativi, essendo piuttosto sufficiente che essa rappresenti un’articolazione della più ampia organizzazione imprenditoriale caratterizzata dal fatto di realizzare un risultato o una finalità autonomi.

    Ai fini della configurabilità di una unità produttiva non rileva neppure la sussistenza di una unitaria direzione aziendale (o di una minore struttura per il coordinamento delle varie unità produttive). Poiché la realizzazione di un medesimo risultato può essere scomposta in una pluralità di fasi, ciascuna realizzata da un diverso complesso organizzativo, non è indispensabile che nella singola unità, perché possa qualificarsi come autonoma, debbano essere riprodotte tutte le strutture organizzative dell’intera azienda, essendo invece sufficiente l’utilizzo di un complesso di beni organizzati, tali da esaurire una frazione o un momento del ciclo produttivo. (Cassazione civile, Sezione Lavoro, 4 dicembre 2012, n. 21714)


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