Cambio d’appalto – aspetti controversi | ADLABOR

L’istituto del cambio d’appalto non è completamente regolamentato, neppure a livello di contrattazione collettiva.

Di seguito alcune considerazioni su alcuni risvolti critici.

In caso di cambio d’appalto numerosi contratti collettivi prevedono che i dipendenti dell’impresa cessante passino alle dipendenze di quella subentrante senza soluzione di continuità e, in alcuni casi, mantenendo anche i medesimi trattamenti economici e normativi. La procedura di cambio d’appalto si concretizza, usualmente, attraverso incontri sindacali che regolamentano le condizioni di passaggio. Però i contratti collettivi che disciplinano tali procedure usualmente stabiliscono che la cessazione dell’appalto configura un giustificato motivo di risoluzione del rapporto con conseguente necessità di licenziare i lavoratori dipendenti dell’impresa cessante. Il provvedimento di licenziamento per giustificato motivo prevede, ex articolo 2118 codice civile, il riconoscimento del preavviso.

La giurisprudenza, anche recente, ha ripetutamente affermato che in caso di cambio d’appalto l’assunzione del lavoratore da parte dell’impresa subentrante senza soluzione di continuità non esclude il diritto del lavoratore stesso a percepire l’indennità sostitutiva del preavviso, ove non abbia lavorato il preavviso, indipendentemente dal fatto che alla cessazione del rapporto con l’impresa cedente sia stato immediatamente assunto, usualmente alle medesime condizioni, dall’impresa subentrante.

Solo nel caso in cui vi sia una specifica disciplina del preavviso nel contratto collettivo o nell’accordo sindacale di cambio d’appalto, ovvero anche con il singolo lavoratore, è possibile evitare di dover corrispondere ai lavoratori che vengono licenziati per cambio d’appalto l’indennità sostitutiva del preavviso, sempre che, naturalmente, il preavviso non sia stato fatto eseguire lavorando.

Però, il più delle volte, i tempi e i meccanismi dei cambi d’appalto non consentono una precisa determinazione della data di effettuazione dell’operazione e, in ogni caso, l’impresa cedente dovrebbe comunque intimare il licenziamento nel rispetto dei termini di preavviso onde non doverlo poi indennizzare. È intuibile la complicazione che si configurerebbe ove fosse necessario rispettare i termini di preavviso, per evitare la corresponsione della relativa indennità sostitutiva, in caso di cambio d’appalto. Peraltro, recentemente, è stato modificato l’articolo 29 del D.lgs 276/2003 introducendo il concetto che, in caso di cambio d’appalto, si configura un trasferimento di ramo d’azienda ove non vi sia discontinuità o specificità della struttura in capo all’impresa subentrante: L’acquisizione del personale gia’ impiegato nell’appalto a seguito di subentro di nuovo appaltatore dotato di propria struttura organizzativa e operativa, in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto d’appalto, ove siano presenti elementi di discontinuita’ che determinano una specifica identita’ di impresa, non costituisce trasferimento d’azienda o di parte d’azienda (articolo 30, comma 1, della Legge 7 luglio 2016, n. 122). La formulazione della legge, pur usando concetti in negativo, lascia intendere che il cambio d’appalto non costituisce trasferimento d’azienda, o di ramo, quando il subentrante, in sostanza, si differenzi dall’impresa uscente in termini di diversa struttura imprenditoriale, differente modalità di effettuazione del servizio ecc.

Però il configurare il cambio d’appalto come una cessione di ramo d’azienda presenta delle criticità innanzitutto per il fatto che si tratterebbe di un allargamento del concetto di trasferimento d’azienda atteso che questa operazione presuppone un negozio giuridico (leggasi accordo) tra le due imprese quando invece, nella realtà, è un terzo, il committente, che impone all’impresa cedente di cessare l’appalto e all’impresa subentrante di acquisirlo indipendentemente da un incontro delle loro volontà.

Né si trascuri che in caso di trasferimento d’azienda il personale conserva, a seguito del passaggio, tutti i trattamenti di cui godeva presso l’impresa cedente con il rischio che quest’ultima possa attribuire, anche surrettiziamente, all’ultimo momento , trattamenti aggiuntivi ai propri dipendenti che vedrebbero poi traslati questi benefici automaticamente nel nuovo rapporto con l’impresa subentrante. Alcuni contratti collettivi ,pur stabilendo con  il cambio d’appalto la risoluzione dei rapporti di lavoro, nel garantire  specifici trattamenti, hanno però ovviato al rischio di incrementi retributivi dell’ultim’ora, prevedendo che in caso di cambio d’appalto l’impresa subentrante garantisca solo i trattamenti previsti dalla contrattazione nazionale, e non quelli riconosciuti ad personam o a livello aziendale.

In concreto, in caso di cambio d’appalto, è sempre preferibile regolamentare, sia con un accordo sindacale sia con accordi individuali, i termini del passaggio dei dipendenti prevedendo sia le modalità di gestione del preavviso, magari ipotizzando una risoluzione consensuale del rapporto o una rinuncia al preavviso, sia le condizioni individuali del nuovo rapporto che, seppur possono essere contenute nella lettera di assunzione, potrebbero non essere sufficienti per derogare ai  trattamenti precedentemente goduti. A maggior ragione in caso di configurazione del cambio d’appalto come trasferimento d’azienda solo a fronte di una transazione stipulata in sede protetta (quantomeno con assistenza sindacale a favore del lavoratore) si può evitare il trascinamento di tutti i trattamenti del vecchio rapporto di lavoro con l’impresa cedente a carico dell’impresa subentrante.

A cura di Massimo Goffredo


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