CCNL applicabile al rapporto di lavoro: il datore di lavoro è libero di scegliere? | ADLABOR

Ciascuna azienda è collocabile in un determinato settore merceologico sulla base dell’attività di impresa effettivamente esercitata.

Tuttavia da tale appartenenza non discende alcun obbligo, in capo all’azienda, di applicare il corrispondente contratto collettivo nazionale di categoria relativo a quello specifico settore merceologico.

Dall’art. 39 comma 1 della Costituzione, che sancisce la libertà sindacale, discende infatti il principio per cui, nel nostro ordinamento, non sussiste alcun obbligo da parte dell’imprenditore, non iscritto ad una organizzazione sindacale datoriale firmataria di un contratto collettivo, di applicare il CCNL del settore in cui l’impresa opera, né sussiste il dovere di applicare “per forza” un contratto collettivo.

L’art. 2070, comma 1 c.c. – secondo cui il contratto collettivo si determina in funzione dell’attività esercitata – si riferisce, infatti, all’abrogato ordinamento corporativo ed è incompatibile con l’attuale sistema di contrattazione collettiva di diritto comune.

Ed anche la giurisprudenza, da circa un ventennio ormai, ha fatto proprio il principio per cui un’azienda può individuare liberamente quale contratto collettivo applicare, qualunque ne sia l’oggetto ed anche se non sovrapponibile con l’attività imprenditoriale tipica (l’imprenditore avrà poi il non facile onere di “armonizzare” il CCNL applicato all’organizzazione, ad esempio adattando l’inquadramento del personale ecc.).

Le  Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2665 del 26 marzo 1997 (alla quale poi si sono conformate le successive pronunce giurisprudenziali di legittimità e di merito sul tema), hanno infatti risolto un contrasto allora presente in  giurisprudenza  circa la questione  se l’applicabilità ad un rapporto individuale di lavoro di un certo CCNL debba dipendere dall’oggetto dell’attività economica dell’azienda, oppure se la configurazione dell’oggetto del rapporto sia rimessa all’autonomia negoziale delle parti.

Per le Sezioni Unite della Corte di Cassazione “il comma 1 dell’art. 2070 cod. civ. (secondo cui l’appartenenza alla categoria professionale, ai fini dell’applicazione del contratto collettivo, si determina secondo l’attività effettivamente esercitata dall’imprenditore) non opera nei riguardi della contrattazione collettiva di diritto comune, che ha efficacia vincolante limitatamente agli iscritti alle associazioni sindacali stipulanti e a coloro che, esplicitamente o implicitamente, al contratto abbiano prestato adesione”.

Di fatto, in assenza di iscrizione ad un’associazione datoriale firmataria di un determinato CCNL, il datore di lavoro non è sottoposto all’obbligo di applicare uno specifico CCNL in funzione dell’attività economica esercitata, ma gli è riconosciuta la discrezionalità nella scelta del trattamento economico e/o normativo di carattere collettivo da applicare ai dipendenti.

Inoltre, la Suprema Corte  ha affermato anche che, nell’ipotesi di contratto di lavoro individuale disciplinato da un CCNL di un settore non corrispondente a quello in cui rientra l’attività dell’imprenditore, il lavoratore non può aspirare all’applicazione di un contratto collettivo diverso salvo che il datore di lavoro non vi sia obbligato per appartenenza sindacale (Corte di Cassazione,  Sentenza 18 dicembre 2014, n. 26742;  conforme Corte di Cassazione,  Sentenza 26 novembre 2015, n. 24160).

La libertà dell’imprenditore di applicare o meno un determinato CCNL ai rapporti di lavoro dipendente trova però un limite invalicabile nell’art. 36 della Costituzione.

Detta norma costituzionale, che riconosce ad ogni lavoratore il diritto ad una retribuzione “proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”, comporta l’obbligo per il datore di lavoro di riconoscere ai lavoratori una retribuzione non inferiore ai minimi tabellari del CCNL applicabile in base alla categoria professionale in cui è sussumibile l’attività dell’azienda.

Secondo la giurisprudenza infatti “In tema di adeguamento della retribuzione ai sensi dell’art. 36 Cost., il giudice del merito, anche se il datore di lavoro non aderisca ad una delle organizzazioni sindacali firmatarie, ben può assumere a parametro il contratto collettivo di settore, che rappresenta il più adeguato strumento per determinare il contenuto del diritto alla retribuzione, anche se limitatamente ai titoli contrattuali che costituiscono espressione, per loro natura, della giusta retribuzione, con esclusione, quindi, dei compensi aggiuntivi e delle mensilità aggiuntive oltre la tredicesima” (Corte di Cassazione, Sentenza 7 luglio 2008, n. 18584).

Per concludere, occorrerà ponderare accuratamente la scelta del CCNL da applicare ai rapporti di lavoro, poiché, pur nella libertà concessa dall’ordinamento al datore di lavoro, è da valutare sia l’opportunità di utilizzare un CCNL che sia il più possibile “calibrato” sulle esigenze delle aziende di un settore specifico, sia del fatto che i minimi retributivi individuali sono inderogabili e vengono parametrati dalla giurisprudenza proprio sulla base della contrattazione collettiva del settore in cui opera l’azienda.

A cura di Francesco Bedon


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