Circolare Ministeriale n. 4 del 3 febbraio 2005 | ADLABOR

CIRCOLARE N. 4/2005

 

Roma, 3 febbraio 2005

Prot. n. 15/0001792/14.01.04.07


Oggetto
: lavoro intermittente, Artt.33 e segg.D. Lgs.n. 276/2003. Chiarimenti e indicazioni operative.


Premessa

 

In attuazione dell’articolo 4 della legge 14 febbraio 2003, n. 30, in materia di occupazione e mercato del lavoro è stata introdotta nel nostro ordinamento una nuova tipologia di contratto denominato – in ragione della intermittenza o discontinuità della prestazione lavorativa – «lavoro intermittente».
Detta tipologia contrattuale si presenta in una duplice versione, con o senza l’obbligo di corrispondere una indennità di disponibilità, a seconda della scelta del lavoratore di vincolarsi o meno all’obbligo di rispondere alla chiamata del datore di lavoro. Ad esso si applica, per quanto compatibile, la normativa prevista per il rapporto di lavoro subordinato, ma limitatamente ai periodi in cui il lavoratore si trova a svolgere effettivamente la prestazione lavorativa oggetto del contratto. Durante i periodi di inattività o di disponibilità, invece, tali norme non risultano essere applicabili e il lavoratore di conseguenza maturerà esclusivamente una indennità di disponibilità se e in quanto contrattualmente prevista.
Finalità della nuova tipologia contrattuale è quella di dare adeguata veste giuridica a prestazioni di lavoro discontinue e intermittenti, anche al fine di regolarizzare prassi esistenti e quantitativamente rilevanti di lavoro non dichiarato o comunque non regolare. Emblematico è, per esempio, il fenomeno del “lavoro a fattura”, con l’emissione di semplici note o fatture a titolo di lavoro autonomo da parte di soggetti a cui è in realtà richiesta una prestazione lavorativa a chiamata con caratteristiche tipiche del lavoro dipendente. Si tratta di prassi che ledono gravemente i diritti dei prestatori di lavoro e che risultano distorsive della stessa competizione corretta tra imprese.


Definizione e tipologie

 

Il contratto di lavoro intermittente è disciplinato dagli articoli 33-40 del D. Lgs. n. 276 del 2003.
L’articolo 33 definisce il contratto di lavoro intermittente come quel contratto con il quale un lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro che ne può utilizzare la prestazione lavorativa nei limiti di cui al successivo articolo 34 e cioè:

1) per lo svolgimento di prestazioni di carattere discontinuo o intermittente secondo le esigenze individuate dai contratti collettivi stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale
2) per periodi predeterminati nell’arco della settimana, del mese o dell’anno ai sensi del successivo articolo 37;
3) in via sperimentale con soggetti in stato di disoccupazione con meno di 25 anni di età ovvero con lavoratori con più di 45 anni che siano stati espulsi dal ciclo produttivo o che siano iscritti dalla liste di mobilità e di collocamento.

Si tratta dunque di una particolare tipologia di lavoro dipendente attivabile in ragione della ricorrenza di determinate condizioni oggettive, individuate come tali dai contratti collettivi ovvero dalla stessoD. Lgs.n. 276/2003 per periodi predeterminati nel corso della settimana, del mese o dell’anno e in via sperimentale, in ragione delle condizioni soggettive del prestatore di lavoro.
L’articolo 40 inoltre prevede che, in assenza disciplina contrattuale, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali “individua in via provvisoria e con proprio decreto… i casi in cui è ammissibile il ricorso al lavoro intermittente”. Tale intervento ministeriale è peraltro rinvenibile nel D.M. 23 ottobre 2004 il quale ammette la stipulazione di contratti di lavoro intermittente con riferimento alle tipologie di attività indicate nella tabella allegata al R.D. 6 dicembre 1923, n. 2657.


Ambito di applicazione

 

Il D. Lgs. n. 276 del 2003 ammette dunque, in via sperimentale, il ricorso al lavoro intermittente di tipo a-causale in funzione cioè delle sole condizioni soggettive del prestatore di lavoro e, precisamente, con riferimento a:

a) giovani disoccupati e inoccupati con meno di 25 anni di età ai sensi delD. Lgs.n. 181/2000 come modificato dalD. Lgs.n. 297/2002;
b) disoccupati con più di 45 anni di età che siano stati espulsi dal ciclo produttivo o siano iscritti alle liste di mobilità e di collocamento.

Ai fini della stipulazione di un contratto di lavoro intermittente di tipo a-causale il concetto di disoccupato si desume dall’articolo 1 del D. Lgs. n. 181 del 2000, come modificato dal D. Lgs. n. 297 del 2002, là dove fa riferimento alla «condizione del soggetto privo di lavoro, che sia immediatamente disponibile allo svolgimento e alla ricerca di un’attività lavorativa secondo modalità definite con i servizi competenti». Lo stesso articolo individua la condizione di giovane inoccupato in quella del soggetto di età inferiore ai 25 anni che, senza aver svolto in precedenza alcuna attività lavorativa, sia alla ricerca di occupazione da più di sei mesi. Il concetto di «lavoratore espulso dal ciclo produttivo» va inteso, secondo la ratio della legge n. 30 del 2003, in senso atecnico e ampio, con riferimento cioè anche a coloro che hanno estinto il rapporto usufruendo di incentivi all’esodo.
Accanto alle ipotesi sperimentali, il contratto di lavoro intermittente può essere concluso per lo svolgimento di prestazioni di carattere discontinuo o intermittente secondo le esigenze individuate dai contratti collettivi stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero per periodi predeterminati nell’arco della settimana, del mese o dell’anno ai sensi dell’articolo 37.
In attuazione del disposto di cui all’articolo 40 del D. Lgs. n. 276 del 2003 il Ministero del lavoro e delle politiche sociali è peraltro intervenuto a individuare in via provvisoria e con proprio decreto, stante la perdurante assenza dei contratti collettivi, i casi in cui è ammissibile il ricorso al lavoro intermittente ai sensi della disposizione di cui all’articolo 34, comma 1, e dell’articolo 37, comma 2. Il DM 23 ottobre 2004 ha rinviato, a questo proposito, alle tipologie di attività indicate nella tabella allegata al Regio Decreto n. 2657 del 1923.
Coerentemente al disposto di cui all’articolo 40 del D. Lgs. n. 276 del 2003, e in aderenza alla lettera del D.M. 23 ottobre 2004 che rinvia alle «tipologie di attività» di cui alla tabella allegata al Regio Decreto n. 2657 del 1923, le attività ivi indicate devono essere considerate come parametro di riferimento oggettivo per sopperire alla mancata individuazione da parte della contrattazione collettiva alla quale il decreto ha rinviato per l’individuazione delle esigenze a carattere discontinuo ed intermittente specifiche per ogni settore. Pertanto i requisiti dimensionali e le altre limitazioni alle quali il regio decreto fa riferimento (es. autorizzazione dell’ispettore del lavoro) non operano ai fini della individuazione della tipologia di attività lavorativa oggetto del contratto di lavoro intermittente. Non rileva pertanto neppure un giudizio caso per caso circa la natura intermittente o discontinua della prestazione essendo questo compito rinviato ex ante alla contrattazione collettiva o, in assenza, al Decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali cui spetta il compito di individuare, mediante una elencazione tipologica o per clausole generali, quelle che sono le esigenze che consentono la stipulazione dei contratti di lavoro intermittente.

 

Forma del contratto

 

Ai sensi dell’articolo 35 del D. Lgs. n. 276 del 2003 il contratto di lavoro intermittente deve essere stipulato in forma scritta ai fini della prova dei seguenti elementi:

a) l’indicazione della durata e delle ipotesi, oggettive o soggettive, previste dall’articolo 34, del D. Lgs. n. 276 del 2003 che consentono la stipulazione del contratto;
b) il luogo e la modalità della disponibilità, eventualmente garantita dal lavoratore, e del relativo preavviso di chiamata del lavoratore che in ogni caso non può essere inferiore a un giorno lavorativo. Nel caso in cui il datore abbia più sedi o più unità produttive deve essere espressamente specificato per quale sede si intende garantire la propria disponibilità se per una sola o per tutte;
c) il trattamento economico e normativo spettante al lavoratore per la prestazione eseguita e la relativa indennità di disponibilità, ove prevista;
d) l’indicazione delle forme e modalità con cui il datore di lavoro è legittimato a richiedere l’esecuzione della prestazione di lavoro, nonchè delle modalità di rilevazione della prestazione adottate in azienda (registrazione libro presenze, badge ecc.). Ai fini dell’articolo 36, comma 5, nel contratto deve essere specificata la modalità della chiamata che deve essere effettuata in forma scritta (fax, e-mail, telegramma o raccomandata) oppure in forma orale. Deve altresì essere prevista la forma e la modalità della conferma da parte del lavoratore come anche il termine entro il quale farla pervenire al datore di lavoro. Tale termine deve essere compatibile con il preavviso;
e) i tempi e le modalità di pagamento della retribuzione e della indennità di disponibilità. Si ritengono applicabili le norme previste per il contratto di lavoro subordinato, pertanto il datore di lavoro è tenuto a consegnare al lavoratore un prospetto paga, secondo le disposizioni previste in materia, contenente gli estremi retribuiti come gli assegni familiari e tutti gli altri elementi che compongono la retribuzione nonchè le eventuali trattenute;
f) le eventuali misure di sicurezza specifiche necessarie in relazione al tipo di attività dedotta in contratto.

Nel caso in cui nel contratto non siano espressamente riportati gli elementi sopra indicati, lo stesso sarà integrato dalle indicazioni previste dai contratti collettivi. Al fine di indicare gli elementi di cui sopra, le parti devono recepire le indicazioni contenute nei contratti collettivi ove previste. Il datore di lavoro è altresì tenuto a informare con cadenza annuale – o più frequentemente se previsto dalla contrattazione collettiva – le rappresentanze sindacali aziendali, ove esistenti, sull’andamento del ricorso al contratto di lavoro intermittente.
Il contratto intermittente può essere stipulato a tempo determinato ovvero a tempo indeterminato secondo quanto si ricava sia dal tenore degli articoli 33-40 del D. Lgs. n. 276 del 2003 sia da quanto esplicitamente previsto dall’articolo 33, comma 2, il quale ammette la stipulazione del contratto intermittente anche a tempo determinato. Con riferimento alla assunzione a tempo determinato va chiarito che non è applicabile la disciplina del D. Lgs. n. 368 del 2001, che infatti non è espressamente richiamata dal D. Lgs. n. 276 del 2003 come avviene invece, per esempio, con riferimento al contratto di inserimento al lavoro. Peraltro anche le ragioni che legittimano la stipulazione del contratto a termine sono, in questo caso, espressamente indicate dalla legge e/o dalla contrattazione collettiva per cui sarebbe inappropriato il richiamo all’articolo 1 del D. Lgs. n. 368 del 2001 come condizione per la legittima stipulazione del contratto di lavoro intermittente.
La lettera dell’articolo 35, comma 1, non impone alcun obbligo contrattuale in merito all’orario ed alla collocazione temporale della prestazione lavorativa. Nessuna specifica è, altresì, prevista per regolare l’alternanza dei periodi lavorati con i periodi di inattività o disponibilità.
Ciò corrisponde a una scelta ben precisa del legislatore di lasciare tale determinazione alla libera autonomia contrattale delle parti in linea con l’impostazione complessiva della disciplina del contratto di lavoro intermittente che suggerisce esclusivamente uno schema contrattuale di base, e quindi flessibile, adatto a essere modulato e adeguato a seconda delle esigenze specifiche di volta in volta individuate dalle parti contraenti. Il datore di lavoro, infatti, può decidere di stipulare un contratto di lavoro intermittente in base alla sola previsione di una effettiva necessità di personale aggiuntivo in quanto, al momento della stipulazione del contratto, non gli è dato sapere con assoluta certezza e precisione le sue reali future esigenze. Non trova dunque applicazione, neppure per analogia, la disciplina del lavoro a tempo parziale, configurando il lavoro intermittente una fattispecie lavorativa sui generis.
Resta tuttavia da considerare che si tratta pur sempre di un contratto di lavoro dipendente, ragione per cui la libera determinazione delle parti contraenti opera, quantomeno con riferimento alla tipologia con obbligo di risposta alla chiamata del datore di lavoro, nell’ambito della normativa di legge e di contratto collettivo applicabile, con specifico riferimento alla disciplina in materia di orario di lavoro.

 

Adempimenti amministrativi

 

Ai fini degli adempimenti amministrativi previsti per l’assunzione, anche per il contratto intermittente valgono le disposizioni di cui al D. Lgs. n. 297 del 2002 e dunque l’invio della comunicazione ai servizi per l’impiego competenti entro 5 giorni dalla avvenuta assunzione. Con l’unica differenza che il datore di lavoro sarà tenuto a una comunicazione iniziale, al momento della stipulazione del contratto, e non anche alle altre conseguenti, fermo restando l’obbligo di informare le rappresentanze sindacali, ove presenti, con cadenza annuale circa l’andamento delle assunzioni con contratto di lavoro intermittente e le relative chiamate.
Con la comunicazione ai servizi competenti i datori di lavoro dovranno specificare la obbligatorietà o meno della chiamata e le modalità della eventuale disponibilità concordata.
Gli obblighi connessi alla stipulazione del contratto di lavoro e, in particolare, l’iscrizione al libro paga e matricola e la comunicazione all’INAIL, saranno soddisfatti, alla stessa stregua degli altri rapporti di lavoro, solo una volta, al momento della stipulazione del relativo contratto.

 

Cumulo con altri contratti di lavoro

 

Gli articoli 33-40 del D. Lgs. n. 276 del 2003 non prevedono alcun divieto per quanto riguarda la stipulazione di più contratti di lavoro intermittente con datori di lavoro differenti.
Nulla vieta, inoltre, l’ammissibilità di porre in essere un contratto intermittente e altre differenti tipologie contrattuali a patto che siano tra loro compatibili e che non risultino di ostacolo con i vari impegni negoziali assunti dalle parti. Come detto, nel caso di assunzione a termine, non opera la disciplina di cui al D. Lgs. n. 368 del 2001.

 

Contratto di lavoro intermittente per periodi predeterminati

 

Ai fini dell’applicabilità del contratto intermittente ai sensi dell’articolo 37, si intende:

a) week-end: il periodo che va dal venerdì pomeriggio, dopo le ore 13.00, fino alle ore 6.00 del lunedì mattina;
b) vacanze natalizie: il periodo che va dal 1° dicembre al 10 gennaio;
c) vacanze pasquali: il periodo che va dalla domenica delle Palme al martedì successivo il Lunedì dell’Angelo;
d) ferie estive : i giorni compresi dal 1° giugno al 30 settembre.

Ulteriori periodi predeterminati potranno essere individuati dalla contrattazione collettiva a seconda di esigenze specifiche proprie per ciascun settore. Inoltre i periodi sopra individuati potranno essere a loro volta modificati da eventuali interventi dell’autonomia collettiva per adeguarli alle effettive necessità di ogni comparto produttivo.

Indennità di disponibilità

 

Il contratto di lavoro intermittente si presenta in una duplice versione, rispettivamente con o senza l’obbligo di corrispondere una indennità di disponibilità, a seconda che il lavoratore si vincoli o meno a rispondere alla chiamata. L’obbligo di rispondere alla chiamata deve essere espressamente pattuito nel contratto di lavoro intermittente.
L’indennità di disponibilità copre i periodi durante i quali il lavoratore rimane in attesa di utilizzazione garantendo la sua disponibilità al datore di lavoro.
L’indennità non è anticipata alla stipulazione del contratto ma è corrisposta a consuntivo alla fine del mese.
Il rifiuto ingiustificato di rispondere alla chiamata del datore di lavoro da parte del prestatore che si è obbligato contrattualmente, ricevendo l’indennità di disponibilità, può comportare la risoluzione del contratto, la restituzione della quota di indennità di disponibilità riferita al periodo successivo all’ingiustificato rifiuto, nonchè un risarcimento del danno nella misura fissata dai contratti collettivi o, in mancanza, dal contratto di lavoro.
La misura dell’indennità mensile di disponibilità, divisibile in quote orarie, viene stabilita dai contratti collettivi e comunque non può essere inferiore alla misura prevista dal D.M. 10 marzo 2004 individuata nella misura del 20 per cento della retribuzione prevista dal contratto collettivo nazionale di lavoro applicato.
Il lavoratore che svolga le prestazioni solo in periodi predeterminati nell’arco della settimana, del mese o dell’anno, così come indicati nel precedente paragrafo, nell’ipotesi in cui si obblighi a rispondere alla chiamata del datore di lavoro, ha diritto a percepire l’indennità di disponibilità solo in caso di effettiva chiamata. Occorre peraltro precisare che, salvo diversa previsione dei contratti collettivi, in tali casi il datore di lavoro è tenuto a corrispondere l’indennità di disponibilità per tutto il periodo di inattività precedente e posteriore alla chiamata stessa, indennità calcolata secondo le modalità previste dal D.M. 10 marzo 2004. Nell’eventualità in cui, invece, il datore di lavoro non effettui alcuna chiamata per tutta la durata del contratto non è tenuto a corrispondere al lavoratore alcuna indennità.
In caso di malattia o di altro evento che renda temporaneamente impossibile rispondere alla chiamata, il lavoratore è tenuto a informare tempestivamente il datore di lavoro, specificando la durata dell’impedimento. Durante il periodo di temporanea indisponibilità non matura il diritto alla indennità di disponibilità. Ove il lavoratore non provveda a tale adempimento, perde il diritto alla indennità di disponibilità per un periodo di quindici giorni, salva diversa previsione del contratto individuale.
L’indennità di disponibilità è esclusa dal computo di ogni istituto di legge o di contratto collettivo con la conseguenza che essa non rileva sia ai fini del calcolo per il T.F.R. che della tredicesima e quattordicesima previsti dai contratti collettivi.

 

Trattamento economico, normativo e previdenziale

 

Ai fini del trattamento economico, normativo e previdenziale occorre distinguere i periodi in cui il lavoratore effettivamente svolge la prestazione lavorativa rispetto a quelli di inattività.
Infatti, per i periodi lavorati si applica il principio di non discriminazione in base al quale, fermi restando i divieti di discriminazione diretta e indiretta previsti dalla legislazione vigente, il lavoratore intermittente non deve ricevere un trattamento economico e normativo complessivamente meno favorevole rispetto al lavoratore di pari livello, a parità di mansioni svolte. Viceversa, per tutto il periodo durante il quale il lavoratore resta disponibile a rispondere alla chiamata del datore di lavoro, ma non lavora, non è titolare di alcun diritto riconosciuto ai lavoratori subordinati nè matura alcun trattamento economico e normativo, salvo l’indennità di disponibilità.
Secondo quanto previsto dal comma 2 dell’articolo 38 trovano applicazione gli istituti normativi tipici del lavoro subordinato in misura “proporzionale” rispetto alla prestazione lavorativa effettivamente eseguita tenendo conto dell’importo della retribuzione globale e delle sue singole componenti nonchè per quanto riguarda le ferie, trattamenti di malattia, infortunio e malattie professionali e congedi parentali.
Si evidenzia, inoltre, che ai sensi dell’articolo 39, il prestatore di lavoro intermittente è computato nell’organico dell’impresa in proporzione all’orario di lavoro effettivamente svolto nell’arco di ciascun semestre.
In caso di malattia professionale e infortunio trova applicazione la disciplina prevista per il lavoro subordinato, se questi eventi si verificano in ragione del rapporto di lavoro. Se, al contrario, la malattia e l’infortunio si verificano durante i periodi di inattività o disponibilità la predetta normativa non trova applicazione. Ai sensi dell’articolo 36, comma 4, il lavoratore deve tempestivamente darne comunicazione al datore di lavoro, per non incorrere nelle sanzioni previste dallo stesso articolo.
Le modalità di calcolo della indennità di malattia, maternità e disoccupazione saranno approfondite in apposite circolari esplicative a cura degli enti competenti.
Occorre precisare che, per gli altri istituti normativi e previdenziali non espressamente citati dal D. Lgs., opera la disciplina del lavoro subordinato, per quanto compatibile. In materia di assegni per il nucleo familiare è dunque applicabile al lavoro intermittente la normativa prevista per il lavoro subordinato secondo quanto stabilito dall’articolo 2 del decreto legge n. 69 del 1988, convertito con la legge n. 153 del 1988. Trova inoltre applicazione l’indennità di disoccupazione, ove ne ricorrano i requisiti (ridotti o ordinari), limitatamente per i periodi non lavorati in quanto nel lavoro intermittente la scelta della modalità e della durata della prestazione lavorativa deriva da esigenze discontinue ed intermittenti, quindi dalla oggettive caratteristiche della stessa. Trovano altresì applicazione le disposizioni in materia di permessi e congedi parentali compresa la misura di incentivazione di cui all’articolo 9 della legge b,. 53 del 2000.


Trattamento contributivo e fiscale

 

Il datore di lavoro è tenuto a versare i contributi, oltre che sull’importo della retribuzione corrisposta, sull’effettivo ammontare della indennità di disponibilità, anche in deroga alla vigente normativa in materia di minimale contributivo.
Il lavoratore, inoltre, ha la possibilità di integrare la contribuzione fino a concorrenza della retribuzione convenzionale. In particolare, ai sensi dell’articolo 36, comma 7, del D. Lgs. n. 276 del 2003, con decreto ministeriale verrà stabilita la misura della retribuzione convenzionale in riferimento alla quale i lavoratori a chiamata potranno versare la differenza contributiva per i periodi in cui abbiano percepito una retribuzione inferiore rispetto a quella convenzionale ovvero abbiano usufruito della indennità di disponibilità fino a concorrenza della medesima misura.
Il trattamento economico derivante dal contratto collettivo costituisce reddito di lavoro subordinato e trova pertanto applicazione la disciplina prevista dall’articolo 51 del T.U.I.R. ciò in virtù del fatto che il contratto intermittente è un contratto di lavoro subordinato.
Si precisa, inoltre, che anche l’indennità ha natura reddituale ex articolo 51 in quanto rientra in quelle «somme o valori percepiti» in relazione al rapporto di lavoro subordinato. Per quanto riguarda le modalità di calcolo della deduzione fiscale prevista dall’Art. 11 del T.U.I.R. si rinvia alle indicazioni operative che saranno fornite in tal senso dalla Direzione Generale dell’Agenzia delle Entrate.

 

 

Firmato
Il Ministro
Roberto Maroni


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