Licenziamento illegittimo – obblighi contributivi | ADLABOR

Nel nostro ordinamento, nel caso in cui il giudice accerti l’illegittimità del licenziamento, reintegrando il lavoratore nel posto di lavoro, il datore è altresì tenuto al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento, sino a quello dell’effettiva reintegrazione.

L’art. 18 della L. 300/1970, come riformato dalla L. 92/2012, prevede che, con la sentenza di condanna alla reintegrazione: “Il datore di lavoro è condannato, altresì, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione, maggiorati degli interessi nella misura legale senza applicazione di sanzioni per omessa o ritardata contribuzione […]”.

La giurisprudenza non è univoca nell’affermare se l’INPS possa far valere in giudizio la propria pretesa contributiva solo dopo che l’accertamento dell’illegittimità del licenziamento sia divenuto definitivo, col passaggio in giudicato della sentenza, o se, al contrario, il mancato versamento dei contributi previdenziali, per il periodo compreso tra la data del licenziamento e il giorno dell’effettiva reintegrazione, configuri un’ipotesi di evasione o omissione contributiva già a seguito della sentenza di reintegra di primo grado.

Sul tema, con sentenza del 9 gennaio 2014 (tratta da Guida al Lavoro n. 12 del 21 marzo2014), è recentemente intervenuta la Corte di Appello di Bologna.

Nella fattispecie, a seguito della dichiarazione di illegittimità del licenziamento e della condanna alla reintegra del lavoratore nel posto di lavoro, l’INPS inviava alla società una cartella di pagamento per il versamento dei contributi e delle sanzioni civili maturate nel periodo tra il licenziamento e la reintegrazione e la società proponeva opposizione avanti al Tribunale di Bologna.

Il Tribunale respingeva il ricorso e la società impugnava la sentenza di primo grado dinanzi alla Corte di Appello di Bologna, argomentando che la pronuncia di reintegra non era ancora passata in giudicato e che pertanto, l’INPS non aveva titolo per pretendere il versamento dei contributi.

La Corte di Appello, aderendo alle argomentazioni espresse dalla società, ha rigettato le pretese contributive dell’INPS, richiamandosi all’art. 2909 del Codice Civile, in base al quale: “L’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato ad ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa”.

Nel caso concreto, ha osservato la Corte, la sentenza di reintegra non conteneva un accertamento definitivo, in quanto non era ancora passata in giudicato, ma se anche fosse stata definitiva, l’INPS si poneva quale parte terza rispetto a quelle nei cui confronti la pronuncia avrebbe avuto efficacia vincolante; di conseguenza, nei confronti dell’INPS, la sentenza di reintegra poteva avere soltanto efficacia di prova o di elemento di prova documentale e, pertanto, era inidonea, in mancanza di ulteriori elementi, a fondare la propria pretesa contributiva.

In particolare, come affermato dalla giurisprudenza citata dalla Corte di Appello: “dal principio fissato dall’art. 2909 c.c. – secondo cui l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato ad ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa – si evince a contrario, che l’accertamento contenuto nella sentenza non estende i suoi effetti – e non è vincolante per i terzi. Rispetto ai terzi, infatti, la sentenza passata in giudicato può esclusivamente avere la diversa efficacia di prova, o di elemento di prova documentale, in ordine alla situazione giuridica che abbia formato oggetto dell’accertamento giudiziale; tale efficacia indiretta può essere invocata da chiunque vi abbia interesse, ma spetta al giudice di merito esaminare la sentenza prodotta a tale scopo e sottoporla alla sua libera valutazione, anche in relazione ad altri elementi di giudizio rinvenuti negli atti di causa” (Cass. Civ. Sez. Lav. n. 1372 del 29 gennaio 2003 e Cass. Civ. Sez. Lav. n. 4921 del 18 maggio 1999).

La Corte di Appello concludeva quindi che: “la somma iscritta a ruolo si fonda unicamente sulla sentenza del Tribunale di Bologna  – tra l’altro non passata in giudicato – ma tale prova documentale non può, in mancanza di altri elementi, dimostrare la sussistenza dell’obbligazione contributiva vantata dall’INPS – che non ha partecipato al giudizio in questione – il cui rapporto con il datore è del tutto distinto da quello intercorso tra quest’ultimo ed il lavoratore e prescinde dall’accertamento giudiziario intervenuto tra i due”.

Per quanto riguarda il profilo sanzionatorio, la Corte di Cassazione, con sentenza n. 7934 del 1 aprile 2009, ha escluso l’applicabilità di sanzioni per il mancato versamento dei contributi alle scadenze previste, nel periodo tra il licenziamento e la reintegra.

In particolare, la Suprema Corte ha affermato che, in pendenza della pronuncia sulla legittimità del licenziamento, il rapporto assicurativo e previdenziale, diversamente da quanto avviene con riferimento al rapporto di lavoro, si considera come interrotto. Ciò determina l’impossibilità di adempiere l’obbligazione contributiva nel periodo tra il licenziamento e la reintegra.

Di conseguenza, versare i contributi solo dopo che il licenziamento sia stato dichiarato illegittimo non costituisce un ritardo sanzionabile.

Nelle parole della Corte: “Sussiste, è vero, l’obbligo del datore al pagamento dei contributi per tutto il periodo dalla cessazione del rapporto alla reintegra. […] Si vuol dire cioè che – mentre tra lavoratore e datore la reintegra esplica efficacia retroattiva sul rapporto di lavoro, facendo sì che dal giorno stesso del licenziamento permanga la obbligazione retributiva, per cui il datore la pagherà al momento della reintegra “per allora” ossia secondo le scadenze mensili o settimanali pattuite – una simile “retroattività” non risulta invece normativamente prevista in relazione all’obbligo contributivo. Ed infatti, avendo il licenziamento valore costitutivo della cessazione del rapporto di lavoro, per quanto riguarda i rapporti tra datore obbligato ed ente previdenziale, il medesimo determina la impossibilità dei versamenti secondo le scadenze prefissate, e detto obbligo non può considerarsi rinascere, retroattivamente, al momento della reintegra, “per allora”, sì da determinare la mora del datore nei confronti dell’ente previdenziale.”.

Sul punto, si rileva l’orientamento difforme della Corte di Cassazione, espresso con sentenza n. 402 del 13 gennaio 2012, secondo cui, a seguito dell’intervenuta sentenza dichiarativa dell’illegittimità del licenziamento, anche il rapporto previdenziale e assicurativo, come il rapporto di lavoro e l’obbligazione retributiva che ne deriva, deve considerarsi come se non fosse mai stato interrotto. Pertanto, il mancato versamento dei contributi nel periodo tra il licenziamento e la reintegra comporta, per il datore di lavoro, il pagamento delle dovute sanzioni.


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