Divieto di licenziamento per causa di matrimonio | ADLABOR

 

Ai sensi dell’art. 35 della d. lgs 11.4.2006 n. 198

“1.Le clausole di qualsiasi genere, contenute nei contratti individuali e collettivi, o in regolamenti, che prevedano comunque la risoluzione del rapporto di lavoro delle lavoratrici in conseguenza del matrimonio sono nulle e si hanno per non apposte. 2. Del pari nulli sono i licenziamenti attuati a causa di matrimonio.3. Salvo quanto previsto dal comma 5, si presume che il licenziamento della dipendente nel periodo intercorrente dal giorno della richiesta delle pubblicazioni di matrimonio, in quanto segua la celebrazione, a un anno dopo la celebrazione stessa, sia stato disposto per causa di matrimonio.4. Sono nulle le dimissioni presentate dalla lavoratrice nel periodo di cui al comma 3, salvo che siano dalla medesima confermate entro un mese alla Direzione provinciale del lavoro.5. Al datore di lavoro è data facoltà di provare che il licenziamento della lavoratrice, avvenuto nel periodo di cui al comma 3, è stato effettuato non a causa di matrimonio, ma per una delle seguenti ipotesi:a) colpa grave da parte della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro; b) cessazione dell’attività dell’azienda cui essa è addetta; c) ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice è stata assunta o di risoluzione del rapporto di lavoro per la scadenza del termine.6. Con il provvedimento che dichiara la nullità dei licenziamenti di cui ai commi 1, 2, 3 e 4 è disposta la corresponsione, a favore della lavoratrice allontanata dal lavoro, della retribuzione globale di fatto sino al giorno della riammissione in servizio. 7. La lavoratrice che, invitata a riassumere servizio, dichiari di recedere dal contratto, ha diritto al trattamento previsto per le dimissioni per giusta causa, ferma restando la corresponsione della retribuzione fino alla data del recesso. 8. A tale scopo il recesso deve essere esercitato entro il termine di dieci giorni dal ricevimento dell’invito. 9. Le disposizioni precedenti si applicano sia alle lavoratrici dipendenti da imprese private di qualsiasi genere, escluse quelle addette ai servizi familiari e domestici, sia a quelle dipendenti da enti pubblici, salve le clausole di miglior favore previste per le lavoratrici nei contratti collettivi ed individuali di lavoro e nelle disposizioni legislative e regolamentari.

Anche in materia di licenziamenti operati “a causa matrimonio” la giurisprudenza di merito e di legittimità, è rigorosa.
“Il licenziamento intimato nel periodo compreso tra il giorno della richiesta delle pubblicazioni e l’anno successivo alla celebrazione del matrimonio, è affetto da nullità presumendosi, ai sensi dell’art. 1 l. n. 7 del 1963, disposto a causa del matrimonio; il divieto di licenziamento opera oggettivamente non sussistendo in capo alla lavoratrice alcun obbligo di comunicazione del matrimonio al datore di lavoro”. (Tribunale Milano, 31 marzo 2006, D.L. Riv. critica dir. lav. 2006, 3 929).

“La tutela accordata dalla l. 9 gennaio 1963 n. 7 alle lavoratrici che contraggono matrimonio è fondata sull’elemento obiettivo della celebrazione del matrimonio e non è subordinata all’adempimento di alcun obbligo di comunicazione (rispondente peraltro al dovere di collaborazione e di esecuzione del contratto secondo buona fede) da parte della lavoratrice; tanto si evince, in particolare, dalla presunzione concernente l’avvenuta intimazione per causa di matrimonio del licenziamento della lavoratrice disposto nel periodo compreso tra la data della richiesta delle pubblicazioni e l’anno successivo alla celebrazione delle nozze, alla cui stregua la possibilità di conoscenza del matrimonio inizia, per il datore di lavoro, con il compimento, da parte dei nubendi, delle formalità preliminari previste dal c.c.” (Cassazione civile , sez. lav., 10 gennaio 2005, n. 270, Giust. civ. Mass. 2005, 1).
“A norma dell’art. 1, comma 2, l. 9 gennaio 1963 n. 7, il licenziamento della lavoratrice per causa di matrimonio non è temporaneamente inefficace, bensì è radicalmente nullo e comporta la riammissione in servizio della lavoratrice illegittimamente licenziata nell’ambito di un rapporto di lavoro mai validamente interrotto, con tutte le conseguenze relative”. (Cassazione civile , sez. lav., 10 maggio 2003, n. 7176, Dir. lav. 2004, II, 62 nota A.F.).


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