Distacco di personale e codatorialità nel contratto di rete | ADLABOR

Premessa

Con una serie di interventi finalizzati ad aiutare le piccole e medie imprese a superare il gap della sottocapitalizzazione, che impediva (e impedisce tuttora) investimenti in innovazione e ricerca, il legislatore ha via via introdotto nel panorama giuridico italiano una serie di provvedimenti tesi a valorizzare il duplice concetto di “distretti produttivi”[1] e di “reti d’impresa”[2] (“libere aggregazioni di imprese articolate sul piano territoriale e sul piano funzionale, con l’obiettivo di accrescere lo sviluppo delle aree e dei settori di riferimento, di migliorare l’efficienza nell’organizzazione e nella produzione, secondo principi di sussidiarietà verticale ed orizzontale”). Vengono così inizialmente identificate tre distinte tipologie di distretti:

– i distretti produttivi, sistemi produttivi locali caratterizzati da una elevata concentrazione di imprese industriali nonche’ dalla specializzazione produttiva di sistemi di imprese;

  • i distretti territoriali, maggiormente ancorati all’esperienza maturata nel settore dei distretti produttivi, si caratterizzano per la comune appartenenza delle imprese che vi afferiscono ad un medesimo settore produttivo, oltre che ad uno stesso ambito territoriale;
  • i distretti funzionali, scaturiscono da una libera aggregazione di imprese che cooperano in modo intersettoriale in una logica di mutual business; si prescinde così dalla sussistenza di legami con specifici territori, in funzione del perseguimento di sinergie fra imprese svolgenti attività complementari o comunque connesse, ai fini dell’accesso ad opportunità presenti sul mercato che presuppongono una integrazione dell’offerta produttiva ovvero ai fini dell’ammissione a determinati regimi particolari all’uopo previsti dalla legge.

Successivamente il legislatore interviene[3]  identificando e definendo altre tipologie di distretti nonché fornendo una definizione di rete d’impresa:

  • i distretti tecnologici, contesti produttivi omogenei, caratterizzati dalla presenza di forti legami con il sistema della ricerca e dell’innovazione;
  • i meta-distretti tecnologici, aree produttive innovative e di eccellenza, indipendentemente dai limiti territoriali, ancorchè non strutturate e governate come reti;
  • i distretti del commercio, aree produttive nelle quali i cittadini, le imprese e le formazioni sociali, liberamente aggregati, esercitano il commercio come fattore di valorizzazione di tutte le risorse di cui dispone il territorio;
  • le reti di impresa, libere aggregazioni tra imprese che fanno parte dei distretti produttivi, articolate sul piano territoriale e sul piano funzionale, con l’obiettivo di accrescere lo sviluppo delle aree e dei settori di riferimento, di migliorare l’efficienza nell’organizzazione e nella produzione, secondo principi di sussidiarietà verticale ed orizzontale.

Alle imprese facenti parte di questi distretti viene data la possibilità di dare vita a un ambito comune per la fiscalità, gli adempimenti amministrativi, la promozione della ricerca e dello sviluppo e la finanza.[4]

Il legislatore ha ritenuto quindi di intervenire creando e disciplinando un nuovo tipo di contratto intersocietario, il “contratto di rete[5], negozio giuridico con il quale “più imprenditori perseguono lo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato e a tal fine si obbligano, sulla base di un programma comune di rete, a collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all’esercizio delle proprie imprese ovvero a scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica ovvero ancora ad esercitare in comune una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa. Il contratto può anche prevedere l’istituzione di un fondo patrimoniale comune e la nomina di un organo comune incaricato di gestire, in nome e per conto dei partecipanti, l’esecuzione del contratto o di singole parti o fasi dello stesso

Infine, ed ecco quanto ci interessa esaminare in queste note, il legislatore, nell’intento di agevolare gli aspetti di gestione del personale delle imprese che hanno stipulato un contratto di rete, ha implementato l’art. 30 del D.Lgs. 276/2003 (c.d. “Legge Biagi”), che disciplina l’istituto del distacco, prevedendo al comma 4-ter che:

  • qualora il distacco di personale avvenga tra aziende che abbiano sottoscritto un valido contratto di rete di impresa, l’interesse della parte distaccante sorge automaticamente in forza dell’operare della rete;
  • per le stesse imprese è ammessa la codatorialità dei dipendenti ingaggiati con regole stabilite attraverso il contratto di rete stesso[6].

 

Il distacco nelle reti d’impresa

Prima di trattare il distacco nelle reti d’impresa, è opportuno rammentare che l’istituto del distacco ebbe la sua prima specifica disciplina legislativa con il citato art. 30 del D.Lgs. 276/2003[7] (che riportiamo integralmente nel box sottostante), secondo non pochi operatori del diritto, il legislatore avrebbe potuto fare di meglio, in quanto, come troveremo modo di evidenziare nelle note seguenti, la norma presentava (e presenta tuttora) un errore sotto il profilo rigorosamente giuridico ed una frase di non facile interpretazione. La norma fu successivamente implementata, prima disciplinando le procedure per ricorrere all’autorità  giudiziaria (comma 4-bis)[8]  e quindi prevedendo l’automaticità dell’interesse del distaccante nel caso questi abbia sottoscritto un contratto di rete d’impresa (comma 4-ter) ed introducendo il nuovo concetto giuridico di “codatorialità”.

DECRETO LEGISLATIVO 10 settembre 2003 n.276

Articolo  30 – Distacco

1. L’ipotesi del distacco si configura quando un datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di altro soggetto per l’esecuzione di una determinata attività lavorativa.

2. In caso di distacco il datore di lavoro rimane responsabile del trattamento economico e normativo a favore del lavoratore.

3. Il distacco che comporti un mutamento di mansioni deve avvenire con il consenso del lavoratore interessato. Quando comporti un trasferimento a una unità produttiva sita a più di 50 km da quella in cui il lavoratore è adibito, il distacco può avvenire soltanto per comprovate ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive.

4. Resta ferma la disciplina prevista dall’articolo 8, comma 3, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236.

4-bis. Quando il distacco avvenga in violazione di quanto disposto dal comma 1, il lavoratore interessato può chiedere, mediante ricorso giudiziale a norma dell’ articolo 414 del codice di procedura civile , notificato anche soltanto al soggetto che ne ha utilizzato la prestazione, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest’ultimo. In tale ipotesi si applica il disposto dell’articolo 27 , comma 2.

4-ter. Qualora il distacco di personale avvenga tra aziende che abbiano sottoscritto un contratto di rete di impresa che abbia validita’ ai sensi del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33, l’interesse della parte distaccante sorge automaticamente in forza dell’operare della rete, fatte salve le norme in materia di mobilita’ dei lavoratori previste dall’articolo 2103 del codice civile. Inoltre per le stesse imprese e’ ammessa la codatorialita’ dei dipendenti ingaggiati con regole stabilite attraverso il contratto di rete stesso.”.

In base al citato art. 30 ed ad altre norme che hanno nel tempo disciplinato particolari aspetti del distacco, possiamo identificare, seguendo l’ordine cronologico delle norme che le hanno disciplinate, le seguenti fattispecie[9]:

distacco di lavoratori in Paesi extracomunitari non convenzionati – D.L. 317/1987[10] che per la prima volta disciplinò le misure di tutela previdenziale ed assicurativa  dei lavoratori italiani operanti in Paesi extracomunitari senza accordi di sicurezza sociale.

 

distacco di lavoratori dell’Unione europea in Italia: – D.Lgs. 72/2000[11] che, recependo la Direttiva 96/71/CE, ha disciplinato questa fattispecie di distacco, definendo il lavoratore distaccato come “il lavoratore abitualmente occupato in uno Stato membro dell’Unione europea diverso dall’Italia che, per un periodo limitato, svolge il proprio lavoro in territorio nazionale italiano

distacco come alternativa al licenziamento – art. 8, co. 3 del D.L. 148/1993[12], che prevede il distacco quale misura alternativa al licenziamento collettivo; è uno strumento di salvaguardia del rapporto di lavoro in caso di procedure di mobilità o licenziamenti collettivi previste dalla Legge 223/1991;

distacco (in generale) – art. 30, co. 1 D.Lgs. 276/2003: per la prima volta viene disciplinato in via generale l’istituto del distacco, che si configura quando un datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di altro soggetto per l’esecuzione di una determinata attività lavorativa;

distacco con mutamento di mansioni – art. 30, co. 3 D.Lgs. 276/2003: se comporta un mutamento di mansioni, il distacco deve avvenire con il consenso del lavoratore interessato;

distacco con mutamento di sede lavorativa art. 30, co. 3 D.Lgs. 276/2003se comporta uno spostamento[13] a una unità produttiva sita a più di 50 km da quella in cui il lavoratore è adibito, il distacco può avvenire soltanto per comprovate ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive.

distacco tra aziende che abbiano sottoscritto un contratto di rete di impresa. – art. 30, comma 4-ter D.Lgs. 276/2003.

distacco come alternativa alla Cassa integrazione guadagni: previsto non da una norma di legge ma dalla circolare del Ministero del lavoro n. 28/2005[14];

Altre norme hanno disciplinato specifici aspetti legati al distacco, quali:

  • sanzioni per distacco illecito – 18 comma 5-bis D.Lgs 276/2003[15];
  • comunicazioni alla DTL – 4-bis, comma 5 del D.Lgs. 181/2000[16] (che sancisce l’obbligo del datore di lavoro distaccante a comunicare alla DTL il ricorso al distacco);
  • sicurezza del lavoro – art. 3, comma 6 del D.Lgs. 81/2008[17] (che prevede l’obbligo a carico del distaccatario di estendere al lavoratore distaccato tutte le misure di prevenzione e protezione, salvo l’obbligo a carico del distaccante di informare e formare il lavoratore sui rischi tipici generalmente connessi allo svolgimento delle mansioni per le quali egli viene distaccato);
  • iscrizione sul libro unico del lavoro – circolare del Ministero del lavoro 21 agosto 2008 n. 20[18] (che estende l’obbligo – peraltro non previsto da norme di legge, cioè dagli artt. 39 e 40 del D.L. 112/08- di iscrizione sul libro unico del lavoro dei lavoratori distaccati, senza peraltro chiarire se l’obbligo di iscrizione riguardi il datore di lavoro distaccante od anche quello distaccatario);

Entriamo adesso nel merito del distacco tra aziende che abbiano sottoscritto un contratto di rete di impresa indicando dapprima quelle che sono le caratteristiche e condizioni del distacco in generale, applicabili anche al distacco in questione e successivamente quelle specifiche (ed aggiuntive).

  1. Forma: l’art. 30 del D.Lgs. 276/2003 nulla indica in proposito, ma riteniamo che il datore di lavoro distaccante non possa esimersi dal comunicare al lavoratore il suo distacco in forma scritta in virtù di quanto previsto dall’art. 3 del D.Lgs. 152/1997[19], che impone tale obbligo in caso di qualsiasi modifica degli elementi essenziali del suo contratto di lavoro;
  2. Oggetto: la prestazione lavorativa di un lavoratore subordinato dipendente da un datore di lavoro a favore di altro soggetto. Può essere ritenuto una forma particolare di contratto a favore di terzi ex art. 1411 Cod.civ.
  3. Temporaneità: il distacco non può che essere temporaneo, come recita il 1° comma dell’art. 30 citato. Tale temporaneità è peraltro concetto alquanto vago ed indeterminato, poiché non sono stati posti limiti temporali vincolanti, cosa che, evidentemente può comportare interpretazioni alquanto estensive. Il fatto che il distacco abbia carattere temporaneo comporta come logica conseguenza che il lavoratore abbia diritto, se ne sussistono le condizioni, al trattamento di trasferta e, ove ne sussistano i presupposti (ad esempio in caso di eccessiva durata) al rientro.
  4. Esistenza di comprovate ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive: come accennavamo in premessa, la formulazione tecnico-giuridica dell’art. 30 del D.Lgs. 276/2003 presenta vari aspetti di non facile interpretazione. La previsione del legislatore (secondo periodo del 3° comma) dell’esistenza di comprovate ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive quale ulteriore condizione di legittimità nel caso di trasferimento (sic!) ad una unità produttiva sita a più di 50 km da quella in cui il lavoratore è adibito, ne è un primo esempio. Subito rilevato che è stato utilizzato un termine (“trasferimento”) del tutto fuor di luogo, in quanto per trasferimento si intende il mutamento definitivo della sede di lavoro, mentre al precedente primo comma era stato chiaramente precisato che il distacco è invece temporaneo, ci pare non solo che la previsione sia una duplicazione del requisito richiesto della sussistenza di un interesse del distaccante, ma anche che essa crei un dubbio negli operatori aziendali: quali possono essere infatti, nel caso di distacco di un lavoratore ad una unità produttiva sita a meno di 50 km da quella in cui il lavoratore stesso è adibito le ragioni del suo datore di lavoro? Escludendo quelle tecniche, organizzative, produttive o sostitutive non resterebbero che quelle di natura disciplinare, della cui legittimità ci permettiamo di dubitare…
  5. Responsabilità del datore di lavoro distaccante e del soggetto utilizzatore: non è chiaro se e come il lavoratore, durante il suo distacco, sia soggetto al potere direttivo del distaccatario-utilizzatore (come invece accade quasi integralmente nell’ipotesi del lavoratore somministrato). Sono invece certe le responsabilità del datore di lavoro distaccante circa il trattamento economico e normativo a favore del lavoratore. (secondo comma dell’art. 30) e quelle del beneficiario delle prestazioni lavorative in materia di sicurezza del lavoro (“tutti gli obblighi di prevenzione e protezione sono a carico del distaccatario”, art. 3, comma 6 D.Lgs. 81/2008), fatto salvo l’obbligo del distaccante di informare e formare il lavoratore sui rischi tipici generalmente connessi allo svolgimento delle mansioni per le quali egli viene distaccato. Su questo punto ritorneremo quando affronteremo l’aspetto della codatorialità.
  6. Unilateralità della decisione di distacco: la decisione del distacco rientra nel potere direttivo del datore di lavoro distaccante, senza che il lavoratore possa opporvisi. Vi è però un’importante eccezione: qualora il distacco comporti un mutamento di mansioni è indispensabile il consenso del lavoratore interessato, così come espressamente previsto dal primo periodo del terzo comma dell’art. 30. Di conseguenza, il rifiuto di quest’ultimo non può configurarsi come infrazione disciplinare. Vale anche la pena di evidenziare che, nel caso di adibizione del lavoratore distaccato a mansioni superiori sia da parte del distaccante sia da parte del distaccatario, il lavoratore possa rivendicare l’applicazione dell’art. 2103 del Codice civile, con richiesta di riconoscimento da parte del datore di lavoro distaccante del relativo, superiore inquadramento, anche nel caso in cui il datore di lavoro distaccante non fosse stato informato del mutamento di mansioni.
  7. Interesse del distaccante: questo è uno dei due punti che caratterizzano il distacco tra aziende che abbiano sottoscritto un contratto di rete di impresa. In via generale, infatti, il datore di lavoro è legittimato ad utilizzare un proprio lavoratore dipendente soltanto per soddisfare un proprio interesse. Ma che tipo di interesse? In generale ci sentiamo di escludere che possa essere di tipo meramente economico, perché in tal caso il legislatore ha previsto altri strumenti giuridici, quali la somministrazione e l’appalto. Riteniamo invece che possano essere interessi di tipo organizzativo (come ad esempio nel caso in cui un datore di lavoro che abbia acquisito un’azienda distacchi una propria risorsa particolarmente qualificata affinché uniformi i sistemi informatici oppure le procedure di controllo di gestione), oppure di tipo formativo (come nel caso in cui si distacchi un lavoratore di cui si desidera ampliare le competenze presso un datore di lavoro od altro soggetto che le possiede ed è in grado di trasferirle al lavoratore) o, ancora, di tipo gestionale (come nel caso in cui, a fronte di un esubero di personale, si voglia evitare di ricorrere a forme di risoluzione collettiva dei rapporti di lavoro che potrebbero pregiudicare il buon andamento dei rapporti sindacali aziendali), ovviamente tutti dimostrabili. Nel caso invece di distacco di personale tra imprese abbiano sottoscritto un regolare contratto di rete di impresa, il comma 4-ter ha precisato che l’interesse della parte distaccante sorge automaticamente in forza dell’operare della rete, per cui non vi è alcun onere di provare l’esistenza di specifici interessi come ad esempio quelli appena sopra indicati.
  8. Sottoscrizione di uno specifico e valido contratto di rete d’impresa: se, come già accennato, per la legittimità del distacco tra imprese che abbiano sottoscritto un contratto di rete l’interesse del distaccante è presunto, alle condizioni generali sopra illustrate se ne aggiunge un’altra, cioè la sottoscrizione di uno specifico contratto di rete d’impresa, per la cui validità deve, ex art. 3 D.L. 5/2009:
  • essere redatto per atto pubblico o per scrittura privata autenticata, ovvero per atto firmato digitalmente a norma degli articoli 24 o 25 del codice di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni, da ciascun imprenditore o legale rappresentante delle imprese aderenti;
  • essere trasmesso ai competenti uffici del registro delle imprese attraverso il modello standard tipizzato con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro dello sviluppo economico;
  • essere iscritto nella sezione del registro delle imprese presso cui è iscritto ciascun partecipante (l’efficacia del contratto inizia a decorrere da quando è stata eseguita l’ultima delle iscrizioni prescritte a carico di tutti coloro che ne sono stati sottoscrittori originari). Con l’iscrizione nella sezione ordinaria del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sua sede la rete acquista soggettività giuridica. Per acquistare la soggettività giuridica il contratto deve essere stipulato per atto pubblico o per scrittura privata autenticata, ovvero per atto firmato digitalmente a norma dell’articolo 25 del D.Lgs. 82/2005;
  • indicare:
  • il nome, la ditta, la ragione o la denominazione sociale di ogni partecipante;
  • la denominazione e la sede della rete (solo qualora sia prevista l’istituzione di un fondo patrimoniale comune;
  • gli obiettivi strategici di innovazione e di innalzamento della capacità competitiva dei partecipanti e le modalità concordate con gli stessi per misurare l’avanzamento verso tali obiettivi;
  • la definizione di un programma di rete, con l’enunciazione dei diritti e degli obblighi assunti da ciascun partecipante; le modalità di realizzazione dello scopo comune e, qualora sia prevista l’istituzione di un fondo patrimoniale comune, la misura e i criteri di valutazione dei conferimenti iniziali e degli eventuali contributi successivi che ciascun partecipante si obbliga a versare al fondo, nonche’ le regole di gestione del fondo medesimo; se consentito dal programma, l’esecuzione del conferimento puo’ avvenire anche mediante apporto di un patrimonio ad hoc, costituito ai sensi dell’articolo 2447-bis, primo comma, lettera a), del codice civile;
  • la durata del contratto, le modalità di adesione di altri imprenditori e, se pattuite, le cause facoltative di recesso anticipato e le condizioni per l’esercizio del relativo diritto, ferma restando in ogni caso l’applicazione delle regole generali di legge in materia di scioglimento totale o parziale dei contratti plurilaterali con comunione di scopo;
  • il nome, la ditta, la ragione o la denominazione sociale del soggetto prescelto per svolgere l’ufficio di organo comune per l’esecuzione del contratto o di una o più parti o fasi di esso, i poteri di gestione e di rappresentanza conferiti a tale soggetto, nonchè le regole relative alla sua eventuale sostituzione durante la vigenza del contratto (solo se il contratto ne prevede l’istituzione);
  • le regole per l’assunzione delle decisioni dei partecipanti su ogni materia o aspetto di interesse comune che non rientri, quando e’ stato istituito un organo comune, nei poteri di gestione conferiti a tale organo, nonchè, se il contratto prevede la modificabilità a maggioranza del programma di rete, le regole relative alle modalità di assunzione delle decisioni di modifica del programma medesimo

 

La codatorialità

Tra le novità apportate all’art. 30 della Legge Biagi dall’articolo 7, comma 2, lettera 0a) del D.L. 76/2013, oltre ad escludere, come abbiamo visto, per il datore di lavoro distaccante l’onere di dover dimostrare il proprio interesse al distacco, essendo questo presunto per il solo fatto di aver sottoscritto un valido contratto di rete di impresa, vi è anche la possibilità per le imprese “retiste” di ricorrere alla codatorialità.

Se non è difficile ipotizzare, sul piano teorico, che per “codatorialità” si intenda la titolarità congiunta in capo a due o più datori di lavoro dello stesso contratto di lavoro con uno o più lavoratori subordinati, molto più complesso è comprendere come possa essere concretamente applicato questo istituto, sostanzialmente sconosciuto al diritto positivo, tanto da indurre il legislatore (si veda l’ultimo periodo del comma 4-ter dell’art. 30 della Legge Biagi) a rinviare allo stesso contratto di rete la definizione delle regole per disciplinare il rapporto di lavoro con i dipendenti “ingaggiati” (sic).

Riteniamo non ben comprensibile la posizione assunta dal Ministero del Lavoro nella circolare 29 agosto 2013 n. 35[20], con la quale si affermava che, circa la codatorialità  dei  dipendenti ingaggiati con regole stabilite attraverso il contratto di rete stesso, “in relazione a tale personale, il potere direttivo potrà essere esercitato da ciascun  imprenditore che partecipa al contratto di rete”, frase che porta alla mente le vicende del goldoniano “Arlecchino servitore di due padroni”.

L’esercizio del potere direttivo, che, in base ad un’interpretazione letterale dell’art. 2086[21] Cod. civ. sembrerebbe essere riservato soltanto al datore di lavoro con il quale il lavoratore ha stipulato il proprio contratto individuale di lavoro può essere legittimamente esercitato da altri oggetti soltanto in presenza di specifiche norme di legge (ad esempio, in materia di somministrazione) o di deleghe espresse.

In caso contrario, per costante giurisprudenza, il rapporto di lavoro sarebbe costituito in capo al soggetto che ha esercitato di fatto il potere direttivo.

La rara giurisprudenza in materia ci pare abbia invece analizzato correttamente gli aspetti legati alla codatorialità, stabilendo che “in presenza di un gruppo di società, la concreta ingerenza della società capogruppo nella gestione del rapporto di lavoro dei dipendenti delle società del gruppo, che ecceda il ruolo di direzione e coordinamento generale spettante alla stessa sul complesso delle attività delle società controllate, determina l’assunzione in capo alla società capogruppo della qualità di datore di lavoro, in quanto soggetto effettivamente utilizzatore della prestazione e titolare dell’organizzazione produttiva nel quale l’attività lavorativa è inserita con carattere di subordinazione[22].

La codatorialità come ipotizzata dal Ministero del lavoro non trova riscontro in alcun tipo di rapporto di lavoro subordinato previsto dalla vigente legislazione in cui un lavoratore, dipendente da un datore di lavoro, presta la propria attività a beneficio di un altro: non nella somministrazione, in cui il potere direttivo, ad eccezione del potere disciplinare, spetta al solo utilizzatore; e neppure nel distacco, in cui il potere direttivo passa in capo al distaccatario; men che meno nell’appalto, in cui potere organizzativo e direttivo rimane saldamente nelle mani dell’appaltatore.

Per meglio comprendere le difficoltà ad accettare la posizione del Ministero del Lavoro, si pensi soltanto, come esempio, ad alcuni aspetti gestionali ed amministrativi:

  • in caso di malattia, a quale datore di lavoro il lavoratore è obbligato a fornire il numero di protocollo identificativo del certificato/attestato di malattia comunicatogli obbligatoriamente dal medico?
  • qualora il lavoratore intenda usufruire di ferie o permessi, a quale datore di lavoro deve chiederli?
  • in caso di infortunio sul lavoro, anche in itinere, quale datore deve essere indicato nella denuncia e quale deve essere immediatamente avvisato?
  • su quale libro unico del lavoro dovranno farsi tutte le annotazioni di legge?

Incertezze  pesanti gravano anche sotto il profilo delle responsabilità civili e penali. Si pensi soltanto a mo’ d’esempio:

  • quale datore di lavoro risponderà dei danni arrecati a terzi da un lavoratore?
  • quale datore di lavoro sarà chiamato a rispondere in caso di infortunio sul lavoro dovuto al mancato rispetto delle norme di sicurezza?
  • in caso di mancato versamento dei contributi previdenziali, vige la responsabilità solidale?

Potremmo continuare quasi all’infinito, ma ci fermiamo qui, ritenendo di aver compiutamente evidenziato come la “codatorialità” ipotizzata dal Ministero del lavoro sia foriera, nel nostro sistema giuridico, di troppe incertezze e di troppi rischi sia per il lavoratore sia per i datori di lavoro delle reti d’impresa.

Riteniamo pertanto assolutamente necessario un intervento legislativo che disciplini l’istituto, magari scegliendo tra le varie opzioni proposte in dottrina e di cui qui sintetizziamo le due che ci paiono più realisticamente applicabili e corrette:

  • la prima prevede un contratto di lavoro tra un imprenditore in rete (responsabile per tutti gli adempimenti burocratici, a cominciare dalle comunicazioni obbligatorie ai Centri per l’impiego) ed uno o più lavoratori, collegato al contratto di rete: in forza di tale collegamento il datore originario mette a disposizione degli altri “retisti” i lavoratori in codatorialità (intendendo quest’ultima come delega -pro-tempore e pro-quota- di alcuni aspetti legati al potere direttivo);
  • la seconda si basa invece su un contratto di lavoro contestualmente stipulato tra più imprenditori in rete e uno o più lavoratori, anche questo collegato al contratto di rete: un unico rapporto di lavoro condiviso tra più soggetti, ma con identificazione del datore incaricato per tutti gli adempimenti amministrativi e contrattuali giuslavoristici, con eventuale e contestuale previsione della responsabilità solidale di tutti i datori di lavoro “retisti” che utilizzano le prestazioni del lavoratore (in particolare per quel riguarda gli obblighi retributivi e contributivi e per gli eventuali risarcimenti a terzi per danni commessi dai lavoratori in codatorialità).

In entrambe le ipotesi sarebbe altresì necessario precisare a quale datore di lavoro compete l’esercizio parziale o totale del potere direttivo, rendendone ovviamente edotti i lavoratori coinvolti.

 

Note conclusive

Come è possibile desumere da quanto illustrato, il distacco di personale tra datori di lavoro facenti parte di una rete di impresa segue le regole generali indicate dall’art. 30 del D.Lgs. 276/2003, con due precisazioni:

  • il datore di lavoro distaccante non ha l’onere di dover dimostrare il proprio interesse al distacco, essendo questo presunto per il solo fatto di aver sottoscritto un valido contratto di rete di impresa;
  • tanto il datore di lavoro distaccante quanto quello distaccatario debbono però aver entrambi sottoscritto lo stesso valido contratto di rete di impresa (che, ricordiamo, in base all’art. 3, comma 4-quater del D.L. 5/20009, acquista efficacia soltanto a decorrere da quando e’ stata eseguita l’ultima delle iscrizioni prescritte a carico di tutti coloro che ne sono stati sottoscrittori originari).

Va pertanto sfatata la convinzione che il ricorso al distacco di lavoratori in oggetto sia stato reso più semplice.

Circa la codatorialità, ci si consenta innanzitutto una battuta: un lavoratore subordinato si assume, non si “ingaggia”…

Nel merito, riteniamo che, in assenza di un auspicabile intervento legislativo, lasciare al contratto di rete la definizione della disciplina del rapporto di lavoro (ed in particolare degli aspetti legati al potere direttivo, ivi compreso il distacco) costituisca un elevato rischio di contenzioso, anche in conseguenza di un allargamento, inopportuno, del novero dei “datori di lavoro” nei cui confronti sia il lavoratore distaccato sia i terzi potrebbero avanzare rivendicazioni.

A cura degli Avv.ti Massimo Tommaso Goffredo e Vincenzo Meleca

[1] Legge 5 ottobre 1991, n. 317 – Interventi per l’innovazione e lo sviluppo delle piccole imprese – art. 36

[2] Legge 23 dicembre 2005, n. 266 – Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Finanziaria 2006), art. 1, commi 366-371.

[3] Legge 11 novembre 2011 n.180 – Norme per la tutela della libertà d’impresa. Statuto delle imprese, art. 5.

[4] Un primo elenco dei distretti realizzati è consultabile su http://leg16.camera.it/561?appro=518

[5] Decreto legge 10 febbraio 2009 n. 5, convertito in Legge 9 aprile 2009, n. 33. – Misure urgenti a sostegno dei settori industriali in crisi, nonche’ disposizioni in materia di produzione lattiera e rateizzazione del debito nel settore lattiero-caseario, art. 3, comma 4 ter.

[6] Comma aggiunto dall’articolo 7, comma 2, lettera 0a) del D.L. 28 giugno 2013, n. 76, convertito in Legge 9 agosto 2013, n. 99.

[7] Decreto legislativo 10 settembre 2003 n.276 – Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30. Va però ricordato che un primo, timido e parziale tentativo di definire il distacco era stato fatto dall’art. 13, comma 12, del decreto legge 1/1993, poi decaduto in quanto non convertito in legge. Il comma recitava che il distacco “può essere effettuato semprechè sia caratterizzato dalla temporaneità e sussista un interesse dell’impresa distaccante affinchè propri dipendenti svolgano l’attività lavorativa presso un altro soggetto.”

[8] Comma aggiunto dall’ articolo 7, comma 1, del D.Lgs. 6 ottobre 2004, n. 25

[9] Per una trattazione più dettagliata rimandiamo al manuale “La mobilita’ professionale e geografica del lavoratore”, Massimo T. Goffredo, Vincenzo Meleca, Giuffrè Editore, 2012

[10] Decreto legge 31 luglio 1987, n. 317 convertito in Legge 3 ottobre 1987, n. 398  – Norme in materia di tutela dei lavoratori italiani operanti nei Paesi extracomunitari

[11] Decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 72 – Attuazione della direttiva 96/71/CE in materia di distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi. Si veda anche il Decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30. – Attuazione della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare

[12] Decreto legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito in Legge 19 luglio 1993, n. 236 – Interventi urgenti a sostegno dell’occupazione.

[13] L’art. 30 del Decreto legislativo 10 settembre 2003 n.276 (c.d. “Legge Biagi”) utilizza del tutto impropriamente il termine “trasferimento”, termine che si riferisce però ad un mutamento defintivo della sede di lavoro, mentre la stessa norma precisa in modo inequivocabile che il distacco ha carattere temporaneo

[14] Il testo è consultabile su: http://www.cliclavoro.gov.it/Normative/Circolare_MLPS_24_giugno_2005_n.28.pdf

[15] Decreto legislativo 10 settembre 2003 n.276, art. 18 – Sanzioni, comma 5bis:” Nei casi di appalto privo dei requisiti di cui all’ articolo 29 , comma 1, e di distacco privo dei requisiti di cui all’ articolo 30 , comma 1, l’utilizzatore e il somministratore sono puniti con la pena della ammenda di euro 50 per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di occupazione. Se vi è sfruttamento dei minori, la pena è dell’arresto fino a diciotto mesi e l’ammenda è aumentata fino al sestuplo

[16] Decreto legislativo  21 aprile 2000, n. 181 – Disposizioni per agevolare l’incontro fra domanda ed offerta di lavoro, in attuazione dell’art. 45, comma 1, lettera a), della legge 17 maggio 1999, n. 144.

[17] Decreto Legislativo 9 aprile 2008 n.81, Articolo  3 – Campo di applicazione, comma 6: “Nell’ipotesi di distacco del lavoratore di cui all’articolo 30 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni, tutti gli obblighi di prevenzione e protezione sono a carico del distaccatario, fatto salvo l’obbligo a carico del distaccante di informare e formare il lavoratore sui rischi tipici generalmente connessi allo svolgimento delle mansioni per le quali egli viene distaccato. Per il personale delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, che presta servizio con rapporto di dipendenza funzionale presso altre amministrazioni pubbliche, organi o autorita’ nazionali, gli obblighi di cui al presente decreto sono a carico del datore di lavoro designato dall’amministrazione, organo o autorita’ ospitante.

[18] Il testo è consultabile su: http://www.lavoro.gov.it/Strumenti/Normativa/Documents/2008/20080821_Circ_20.pdf

[19] Decreto legislativo 26 maggio 1997, n. 152 – Attuazione della direttiva 91/533/CEE concernente l’obbligo del datore di lavoro di informare il lavoratore delle condizioni applicabili al contratto o al rapporto di lavoro, art. 3 – Modifica di elementi del contratto di lavoro dopo l’assunzione: “ 1. Il datore di lavoro comunica per iscritto al lavoratore, entro un mese dall’adozione, qualsiasi modifica degli elementi di cui agli articoli 1 e 2 che non deriva direttamente da disposizioni legislative o regolamentari, ovvero dalle clausole del contratto collettivo cui si fa riferimento ai sensi degli articoli 1, comma 4, e 2, comma 2.

[20] Il testo è consultabile su: http://www.lavoro.gov.it/Priorita/Documents/Circolare_35_2013_Decreto%20lavoro.pdf

[21] Art. 2086 – Direzione e gerarchia nella impresa: “[I]. L’imprenditore è il capo dell’impresa e da lui dipendono gerarchicamente i suoi collaboratori”. Evidenziamo che in dottrina il potere direttivo ricomprende in particolare i poteri organizzativo, conformativo (specificare modi e tempi della prestazione lavorativa), di vigilanza (controllare la corretta esecuzione della prestazione lavorativa) e disciplinare (irrogare sanzioni al lavoratore che violi i propri obblighi di corretta e fedele esecuzione della prestazione).

[22] Cass.  29 novembre 2011 n. 25270, in   Mass. Giust. civ. 2011, 11, 1691. Sostanzialmente conforme è Cass. 5 settembre 2006 n. 19036, per la quale “l’art. 2094 cod. civ., nel prevedere il rapporto di lavoro subordinato, non definisce altresì l’impresa quale datrice di lavoro ma ne presuppone la nozione, caratterizzata dalla soggettività giuridica, con la conseguenza che, salve le ipotesi simulatorie, ad una pluralità di soggetti societari esercitanti i poteri del datore corrisponde una pluralità di rapporti“. Di opinione del tutto opposta è invece il Tribunale di  Cagliari,  sez. lav.  6 giugno 2013 n. 23 (in GiustiziaCivile.com 2015, 1), per il quale “Nell’individuazione del reale ed effettivo datore di lavoro, laddove, a fronte di un esercizio al plurale dell’attività di (un’unica) impresa, la prestazione di lavoro del singolo sia utilizzata da una pluralità di soggetti e sia funzionale agli interessi prevalenti del gruppo, ci si trova di fronte ad un’ipotesi di codatorialità, e cioè di imputabilità del rapporto di lavoro al gruppo, o meglio, ai singoli soggetti, autonomi e genuini, che partecipano al gruppo e che collettivamente esercitano quell’impresa e rivestono il ruolo di quell’imprenditore attraverso la relazione con i quali l’art. 2094 c.c. definisce il “prestatore di lavoro subordinato“. Va evidenziato che il merito della vertenza non consisteva in problemi legati all’esercizio collettivo del potere direttivo (e men che meno alla sussistenza di una contemporanea pluralità di contratti di lavoro subordinato tra più datori di lavoro con un unico lavoratore), ma soltanto sul punto se, per raggiungere la soglia numerica di lavoratori necessaria per far applicare le tutele reali, si dovesse tener conto soltanto di quelli dipendenti da una società del gruppo od anche da tutti gli altri dipendenti dalle altre società dello stesso gruppo.

 


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