19 Dicembre 2016

Licenziamento collettivo e criteri di scelta

Una recente pronunzia della Cassazione (sentenza n. 25554 del 13 dicembre 2016) irrigidisce, in maniera a nostro parere eccessiva, i criteri di scelta dei lavoratori in relazione alle procedure di licenziamento collettivo.

La Cassazione ha infatti affermato la illegittimità dei licenziamenti collettivi adottati in applicazione dei criteri di scelta legali (carichi di famiglia, anzianità di servizio, esigenze tecnico-produttive, previsti dall’art. 5, comma 1, della legge 223/1991) ma senza l’indicazione delle conseguenti modalità applicative che avrebbero dovute essere inserite nella comunicazione da inviare, entro i 7 giorni successivi alle organizzazioni sindacali e ad altri Enti amministrativi (art. 4, comma 9, legge 223/1991).

La Corte, rilevando una carenza di trasparenza delle scelte datoriale, in quanto si era omesso di indicare nella comunicazione sopra citata la concreta modalità attraverso la quale erano stati definiti i criteri ed attribuiti i punteggi ai singoli lavoratori, ha affermato che la mancata indicazione priva il lavoratore della tutela prevista dalla norma “perché la scelta effettuata dal datore di lavoro non è raffrontabile con alcun criterio oggettivamente predeterminato“.

Da notare che l’azienda aveva indicato nella comunicazione inviata alla Direzione regionale del lavoro, al Centro per l’impiego presso la provincia e alle associazioni di categoria:

– l’elenco dei lavoratori licenziati (con indicazione dei dati anagrafici e fiscali, della qualifica professionale, del livello di inquadramento, dell’anzianità di servizio e del carico familiare);

– l’indicazione dei criteri legali applicati, integrata dall’indicazione dei valori ponderali utilizzati per l’applicazione dei criteri di scelta legali a ciascun dipendente (e cioè il 30% per il carico familiare, il 20% per l’anzianità di servizio, il 50% per le esigenze tecnico-produttive ed organizzative ripartito nel 25% per il livello di inquadramento e nel 25% per la valutazione di professionalità)

Per la Cassazione invece “….il datore di lavoro non può limitarsi alla mera indicazione di formule generiche, ripetitive dei principi dettati in astratto dalla disciplina contrattuale e legislativa sia pure specificamente riferiti ai singoli lavoratori che hanno impugnato il licenziamento, ma deve – nella comunicazione dallo stesso effettuata – operare una valutazione comparativa delle posizioni dei dipendenti potenzialmente interessanti al provvedimento, quanto meno con riguardo alle situazioni raffrontabili per livello di specializzazione. Emerge, insomma, dall’esame della giurisprudenza di questa Corte, il principio della “rigidità”, nel senso che, dalla formulazione dei criteri di scelta, il lavoratore deve essere posto in grado di sapere se sarà o meno mantenuto in servizio o sarà posto in mobilità, perchè coi criteri di scelta debbono essere individuabili le posizioni di coloro che saranno eliminati, e l’indicazione dei criteri di scelta e delle loro modalità applicative deve essere effettuata in modo chiaro e trasparente.”

Nella sostanza, nel comportamento dell’azienda la Suprema Corte individua una assoluta discrezionalità circa i lavoratori da licenziare, cosa che non è prevista dalla legge n. 223/1991.

Come conseguenza della dichiarazione di illegittimità della procedura, il regime sanzionatorio, legato alla incompletezza della comunicazione è quello previsto dall’art. 18, settimo comma, terzo periodo, della legge n. 300/1970, ossia l’indennità risarcitoria onnicomprensiva compresa tra dodici e ventiquattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, determinata in relazione al l’anzianità del lavoratore, al numero dei dipendenti, alle dimensioni dell’attività economica, alle condizioni ed al comportamento delle parti.

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