Controlli sull’attività dei lavoratori – Ricorso ad agenzie investigative – Limiti (Cassazione sez. lavoro 4 settembre 2018 n. 21621) | ADLABOR

Le agenzie investigative non possono controllare l’attività lavorativa dei dipendenti

Il datore di lavoro può controllare l’attività dei propri dipendenti, ma nel rigoroso rispetto delle norme dello Statuto dei lavoratori. Il legislatore ha però fatto una sottile distinzione tra controlli sull’attività lavorativa (artt. 2 e 3) e controlli sull’attività in generale (artt. 4 e 8).[1]

Orbene, la recente sentenza della Cassazione sez. lavoro 4 settembre 2018 n. 21621, sotto integralmente riportata, evidenziando questa differenza, ha riaffermato, confermando sue precedenti pronunzie, che, pur potendo il datore di lavoro ricorrere a soggetti terzi, come agenzie investigative, per l’accertamento di violazioni da parte dei lavoratori, tale verifica non può estendersi all’adempimento o meno della loro prestazione lavorativa.

Il caso riguardava il licenziamento per giusta causa di un lavoratore che, assentatosi arbitrariamente dal lavoro, veniva fatto oggetto di indagini da parte del personale di un’agenzia investigativa.  La Cassazione, cassando con rinvio la sentenza del Giudice di secondo grado, che aveva ritenuto legittimo il licenziamento, ha ritenuto che le indagini effettuate riguardassero non solo e non tanto “l’avvenuta perpetrazione di illeciti e l’esigenza di verificarne il contenuto, anche laddove vi sia un sospetto o la mera ipotesi che illeciti siano in corso di esecuzione”, ma anche un controllo indiretto dell’attività lavorativa vera e propria, riservata, ex art. 3 L. n. 300/1970, art. 3,  soltanto al datore di lavoro e ai suoi collaboratori. La pronunzia esprime un principio che, seppur conforme alla legislazione vigente, si presta alle più disparate interpretazioni essendo estremamente sottile e indeterminato il limite tra accertamenti volti a verificare illeciti e pertanto legittimi e accertamenti sulla prestazione lavorativa la cui illegittimità appare poco condivisibile quando le verifiche vengono effettuate al di fuori dei luoghi di lavoro.

 

 

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI          Giuseppe                  –  Presidente   –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo                –  rel. Consigliere  –

Dott. BALESTRIERI       Federico                  –  Consigliere  –

Dott. DE GREGORIO       Federico                  –  Consigliere  –

Dott. LEONE             Margherita Maria          –  Consigliere  –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16963-2016 proposto da:

D.C.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA DELLA BALDUINA 59, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO MARCONE, rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONIO GALARDO, giusta procura in atti;

– ricorrente –

Contro RETE FERROVIARIA ITALIANA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA BENEDETTO CAIROLI 2, presso lo studio dell’avvocato ANGELO ABIGNENTE, che la rappresenta e difende, giusta procura in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8893/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata l’11/01/2016; r.g. n. 2877/2014;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/03/2018 dal Consigliere Dott. PAOLO NEGRI DELLA TORRE; udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto del ricorso; uditi gli avvocati Antonio Galardo ed Angelo Abignente.

FATTI DI CAUSA

  1. Con sentenza n. 8893/2015, depositata l’11 gennaio 2016, la Corte di appello di Napoli confermava ia sentenza ai primo grado, con la quale il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere aveva rigettato la domanda di D.C.A. volta alla dichiarazione di illegittimità del licenziamento per giusta causa allo stesso intimato da R.F.I. – Rete Ferroviaria Italiana S.p.A. il 23 febbraio 2012 per avere il dipendente nello svolgimento delle mansioni di addetto al sistema di rilevazione delle presenze in servizio, fatto fittiziamente figurare la propria sul posto di lavoro in diverse giornate dei mesi di novembre e dicembre (OMISSIS), secondo quanto emerso in sede di controlli effettuati dalla datrice di lavoro a mezzo di un’agenzia investigativa.
  2. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza il lavoratore con cinque motivi, cui la società ha resistito con controricorso, assistito da memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

  1. Con il primo motivo viene dedotto il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 per avere il giudice di appello omesso l’esame di un fatto decisivo, individuato nella circostanza che il sistema di rilevazione tramite badge delle presenze del personale amministrativo era stato introdotto in azienda soltanto a partire dal 20/1/2012 e, pertanto, da una data successiva ai fatti oggetto di contestazione disciplinare (novembre/dicembre (OMISSIS).
  2. Con il secondo motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 115,116,210,420 e 437 c.p.c., nonchè dell’art. 2697 c.c., per avere il giudice di appello erroneamente ritenute incontestate circostanze dirimenti, quali la possibilità e l’obbligo del lavoratore di segnalare il proprio orario di entrata o uscita in ufficio, e per avere comunque omesso di compiere al riguardo i necessari accertamenti, dando ingresso alle prove richieste.
  3. Con il terzo motivo viene dedotta la nullità della sentenza e del procedimento in relazione alla mancata ammissione della prova testimoniale diretta a dimostrare che ogni scostamento dall’orario di lavoro, da parte del ricorrente, era conosciuto e autorizzato dal suo superiore gerarchico.
  4. Con il quarto motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c. per avere il giudice di appello contraddittoriamente prima individuato nella condotta del ricorrente un inadempimento contrattuale e poi qualificato lo stesso quale illecito aquiliano.
  5. Con il quinto viene dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c. e della L. n. 300 del 1970, artt. 2 e 3 per avere la Corte di appello ritenuto legittimo il ricorso ad una agenzia investigativa, sebbene l’accertamento in tal modo compiuto dal datore di lavoro, riguardando il mancato rispetto dell’orario di lavoro o lo scostamento dallo stesso (e cioè non un illecito aquiliano ma un inadempimento contrattuale), fosse consistito in una vera e propria vigilanza sull’attività lavorativa dei ricorrente.
  6. Il primo motivo risulta inammissibile, in virtù di quanto stabilito dall’art. 348 ter c.p.c., u.c., applicabile ratione temporis in presenza di giudizio di appello introdotto con ricorso depositato in epoca successiva all’11 settembre 2012, data di entrata in vigore della disposizione.
  7. D’altra parte, il ricorrente, al fine di evitare l’inammissibilità del motivo, non ha indicato le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. n. 5528/2014; conformi Cass. n. 19001/2016 e Cass. n. 26774/2016).
  8. Nè tale onere può dirsi adempiuto con la sola asserzione (di cui ai ricorso, p. 11), per la quale “la sentenza di appello non contiene una sostanziale conferma della motivazione in fatto in primo grado, ma solo una conferma meramente formale, come tale non preclusiva”, differenziandosi tale pronuncia “per il percorso logico-giuridico seguito e diverso da quello del giudice di primo grado”, in quale tale asserzione non pone a confronto le motivazioni delle due sentenze di merito, ma si limita ad un giudizio di sintesi del tutto indimostrato.
  9. Inammissibile risulta anche il quarto motivo, affidandosi il ricorrente ad affermazioni di contenuto generale e ad una generica denuncia di “evidenza” della contraddittorietà e della illogicità della motivazione della sentenza impugnata.
  10. E’ invece fondato e deve essere accolto il quinto motivo di ricorso.
  11. Con riferimento alla portata della L. n. 300 del 1970, artt. 2 e 3, i quali delimitano, a tutela della libertà e dignità del lavoratore, in coerenza con disposizioni e principi costituzionali, la sfera di intervento di persone preposte dal datore di lavoro a difesa dei propri interessi, e cioè per scopi di tutela del patrimonio aziendale (art. 2) e di vigilanza dell’attività lavorativa (art. 3), si deve premettere che essi non precludono il potere dell’imprenditore di ricorrere alla collaborazione di soggetti (come, nella specie, un’agenzia investigativa) diversi dalle guardie particolari giurate per la tutela del patrimonio aziendale, nè, rispettivamente, di controllare l’adempimento celie prestazioni lavorative e, quindi, di accertare mancanze specifiche dei dipendenti, ai sensi degli artt. 2086 e 2104 c.c., direttamente o mediante la propria organizzazione gerarchica.
  12. Tuttavia, ciò non esclude che il controllo delle guardie particolari giurate, o di un’agenzia investigativa, non possa riguardare, in nessun caso, nè l’adempimento, nè l’inadempimento dell’obbligazione contrattuale del lavoratore di prestare la propria opera, l’inadempimento essendo anch’esso riconducibile, come l’adempimento, all’attività lavorativa, che è sottratta alla suddetta vigilanza, ma debba limitarsi agli atti illeciti del lavoratore non riconducibili al mero inadempimento dell’obbligazione (cfr., fra le molte conformi, Cass. n. 9167/2003).
  13. Tale fermo principio è stato costantemente ribadito (ancora di recente da Cass. n. 15094/2018), sottolineandosi in particolare come le agenzie di investigazione, per operare lecitamente, non debbano sconfinare nella vigilanza dell’attività lavorativa vera e propria, riservata, dalla L. n. 300 del 1970, art. 3, direttamente al datore di lavoro e ai suoi collaboratori; di conseguenza resta giustificato l’intervento in questione solo per l’avvenuta perpetrazione di illeciti e l’esigenza di verificarne il contenuto, anche laddove vi sia un sospetto o la mera ipotesi che illeciti siano in corso di esecuzione.
  14. L’impugnata sentenza n. 8893/2015 della Corte di appello di Napoli, la quale ha ritenuto legittimo il ricorso da parte della società datrice di lavoro ad un’agenzia investigativa, in una fattispecie di “sistematico allontanamento” del dipendente “dal luogo di lavoro, in assenza di qualsiasi comunicazione” (cfr. sentenza impugnata, p. 5), deve conseguentemente essere cassata, in relazione al motivo accolto, assorbiti il secondo e il terzo, e la causa rinviata, anche per le spese del presente giudizio, alla medesima Corte in diversa composizione, che provvederà a fare applicazione del richiamato principio di diritto.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quinto motivo di ricorso, dichiarati inammissibili il primo e il quarto e assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Napoli in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 4 settembre 2018

[1]     Legge 20 maggio 1970 n. 300, art. 2- Guardie giurate: “1.  Il datore di lavoro può impiegare le guardie particolari giurate, di cui agli articoli 133 e seguenti del testo unico approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, soltanto per scopi di tutela del patrimonio aziendale. 2. Le guardie giurate non possono contestare ai lavoratori azioni o fatti diversi da quelli che attengono alla tutela del patrimonio aziendale. 3. È fatto divieto al datore di lavoro di adibire alla vigilanza sull’attività lavorativa le guardie di cui al primo comma, le quali non possono accedere nei locali dove si svolge tale attività, durante lo svolgimento della stessa, se non eccezionalmente per specifiche e motivate esigenze attinenti ai compiti di cui al primo comma. 4. In caso di inosservanza da parte di una guardia particolare giurata delle disposizioni di cui al presente articolo, l’Ispettorato del lavoro ne promuove presso il questore la sospensione dal servizio, salvo il provvedimento di revoca della licenza da parte del prefetto nei casi più gravi.”; art. 3 – Personale di vigilanza: “1. I nominativi e le mansioni specifiche del personale addetto alla vigilanza dell’attività lavorativa debbono essere comunicati ai lavoratori interessati.”; art. 4 – Impianti audiovisivi e altri strumenti di controllo: “  1. Gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilita’ di controllo a distanza dell’attivita’ dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e possono essere installati previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali. In alternativa, nel caso di imprese con unita’ produttive ubicate in diverse province della stessa regione ovvero in piu’ regioni, tale accordo puo’ essere stipulato dalle associazioni sindacali comparativamente piu’ rappresentative sul piano nazionale. In mancanza di accordo, gli impianti e gli strumenti di cui al primo periodo possono essere installati previa autorizzazione delle sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro o, in alternativa, nel caso di imprese con unita’ produttive dislocate negli ambiti di competenza di piu’ sedi territoriali, della sede centrale dell’Ispettorato nazionale del lavoro. I provvedimenti di cui al terzo periodo sono definitivi. 2. La disposizione di cui al comma 1 non si applica agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze. 3. Le informazioni raccolte ai sensi dei commi 1 e 2 sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalita’ d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196.”; art. 5 – Accertamenti sanitari: “1. Sono vietati accertamenti da parte del datore di lavoro sulla idoneità e sulla infermità per malattia o infortunio del lavoratore dipendente. 2. Il controllo delle assenze per infermità può essere effettuato soltanto attraverso i servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti, i quali sono tenuti a compierlo quando il datore di lavoro lo richieda. 3. Il datore di lavoro ha facoltà di far controllare la idoneità fisica del lavoratore da parte di enti pubblici ed istituti specializzati di diritto pubblico.”; art 6 – Visite personali di controllo: “1. Le visite personali di controllo sul lavoratore sono vietate fuorché nei casi in cui siano indispensabili ai fini della tutela del patrimonio aziendale, in relazione alla qualità degli strumenti di lavoro o delle materie prime o dei prodotti. 2. In tali casi le visite personali potranno essere effettuate soltanto a condizione che siano eseguite all’uscita dei luoghi di lavoro, che siano salvaguardate la dignità e la riservatezza del lavoratore e che avvengano con l’applicazione di sistemi di selezione automatica riferiti alla collettività o a gruppi di lavoratori. 3. Le ipotesi nelle quali possono essere disposte le visite personali, nonché, ferme restando le condizioni di cui al secondo comma del presente articolo, le relative modalità debbono essere concordate dal datore di lavoro con le rappresentanze sindacali aziendali oppure, in mancanza di queste, con la commissione interna. In difetto di accordo, su istanza del datore di lavoro, provvede l’Ispettorato del lavoro. 4.     Contro i provvedimenti della Direzione regionale del lavoro di cui al precedente comma, il datore di lavoro, le rappresentanze sindacali aziendali o, in mancanza di queste, la commissione interna, oppure i sindacati dei lavoratori di cui al successivo articolo 19 possono ricorrere, entro 30 giorni dalla comunicazione del provvedimento, al Ministro per il lavoro e la previdenza sociale.”; art. 8 – Divieto di indagini sulle opinioni: “1. È fatto divieto al datore di lavoro, ai fini dell’assunzione, come nel corso dello svolgimento del rapporto di lavoro, di effettuare indagini, anche a mezzo di terzi, sulle opinioni politiche, religiose o sindacali del lavoratore, nonché su fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell’attitudine professionale del lavoratore.”


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