Lavoratore disabile – Licenziamento per superamento periodo di comporto – Discriminazione – Trib. Como- Sent. n. 156/2020| ADLABOR

Il licenziamento per superamento del periodo di comporto del lavoratore disabile non è configurabile quale licenziamento discriminatorio.

Il Tribunale di Como, con sentenza n. 156/2020, ha rigettato il ricorso proposto da un lavoratore licenziato per superamento del periodo di comporto, volto a far dichiarare il carattere discriminatorio del recesso in quanto il licenziamento, secondo la tesi del lavoratore, sarebbe stato fondato esclusivamente sull’handicap e sulla disabilità del lavoratore stesso e perché “le assenze cagionate dall’handicap” non sarebbero state computabili nel periodo di comporto.

In particolare il Giudice di merito, rifacendosi ad alcune pronunce della Suprema Corte (es. Cass., sez. lav., sent. 14.10.2016, n. 21377), ha affermato che:

  1. Il superamento del periodo di comporto, essendo una ragione di licenziamento oggettiva di carattere generale, esclude di per sé l’ipotesi della discriminazione;
  2. Non vi è stata discriminazione, in ragione della disabilità del lavoratore (peraltro non conosciuta dal datore di lavoro al momento del recesso) poiché qualsiasi lavoratore nella stessa situazione avrebbe ricevuto il medesimo trattamento.

Inoltre, il Tribunale di Como ha sottolineato come il computo nel periodo di comporto dei giorni di assenza per malattia avviene automaticamente, fatta eccezione per quelle patologie connesse e provocate da colpa del datore di lavoro per non aver lo stesso ottemperato all’obbligo sullo stesso incombente di salvaguardia delle condizioni di salute dei propri sottoposti, ma  che il lavoratore, nel caso di specie, non ha dimostrato che la patologia riportata sarebbe stata causata dalle condizioni di lavoro.

Da ultimo, il Giudice ha evidenziato come il lavoratore non avesse dimostrato che il datore di lavoro fosse stato informato della presenza di una certificazione attestante l’esistenza di una condizione di handicap in condizioni di gravità ex art. 3, co. 3, della L. n. 104/1992, circostanza che, secondo il Tribunale di Como, esclude definitivamente che si possa far ricorso alla figura del licenziamento discriminatorio, anche in rapporto alla Direttiva n. 2000/78.

Ma il Tribunale di Como non ha ritenuto fondate nemmeno le deduzioni avversarie secondo cui il recesso sarebbe stato tardivo e quindi illegittimo per avere l’azienda atteso di verificare la fattibilità del rientro in servizio del lavoratore assente per malattia, prima di procedere col licenziamento, per circa 30 giorni dopo il superamento del periodo di comporto.

Secondo il Giudice di merito infatti la condotta del datore di lavoro non è stata in alcun modo improntata alla violazione di quei principi di correttezza e buona fede che devono connotare i rapporti contrattuali tra le parti avendo atteso, prima di procedere al licenziamento per superamento del periodo di comporto, di verificare in un congruo lasso di tempo se il lavoratore si fosse ripresentato sul posto di lavoro.

La giurisprudenza, sul punto, appare infatti unanime nell’evidenziare la necessità di un adeguato spatium deliberandi per il datore di lavoro e nel rimarcare la relatività del concetto di tempestività del licenziamento per superamento del periodo di comporto.

E la Suprema Corte rileva inoltre come costituisca onere del lavoratore dimostrare che l’inerzia del datore di lavoro abbia oltrepassato i limiti di adeguatezza e ragionevolezza tanto da integrare una vera e propria rinuncia di avvalersi della facoltà ex art. 2110 c.c. di recedere dal rapporto di lavoro (Cass. 15 settembre 2014, n. 19400, conforme Cass. 12 ottobre 2018, n. 25535).


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