Reviviscenza del codice disciplinare | ADLABOR | ISPER HR Review

L’articolo 7 dello Statuto dei Lavoratori (L. 300/1970) prevede che le norme disciplinari devono essere portate a conoscenza dei lavoratori mediante affissione in luogo accessibile a tutti. Un tempo, quando si sosteneva in giudizio l’illegittimità di un provvedimento disciplinare, e a maggior ragione di un licenziamento, la prima eccezione che veniva sollevata era quella della corretta affissione del codice disciplinare. E, sempre in epoca risalente, il codice disciplinare veniva ritenuto necessario anche per graduare l’entità delle sanzioni, posto che spesso i contratti collettivi erano molto generici. Infatti, era invalso l’uso di affiggere la parte di contratto collettivo relativa alle sanzioni disciplinari quando non si “appendeva”, nell’apposita bacheca, addirittura l’intero contratto collettivo.

Col passare degli anni la rilevanza del codice disciplinare, e della sua affissione, era man mano scemata anche in conseguenza di una evoluzione degli orientamenti giurisprudenziali che si erano attestati nel ritenere non necessaria la previa affissione delle norme disciplinari nel caso in cui le infrazioni commesse dal dipendente violassero il cd. minimo etico, il comune sentire o avessero addirittura rilevanza penale.

Ma una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 24722 dell’11 agosto 2022) ha riesumato la necessità non solo della affissione del codice disciplinare ma è intervenuta significativamente anche sul suo contenuto.

La vicenda da cui ha tratto origine la pronunzia nasceva dal licenziamento per scarso rendimento di un dipendente cui era stata contestata una voluta lentezza nello svolgere la mansione affidata.

In particolare, si era contestato che il lavoratore avesse violato specifiche regole produttive fissate da precisi standard di produttività. La Suprema Corte, e precedentemente la Corte d’Appello, hanno affermato, in sostanza, che la violazione della disposizione organizzativa che prevedeva una specifica procedura, avrebbe dovuto essere contenuta nel codice disciplinare regolarmente affisso, assumendo che la società avrebbe dovuto preliminarmente informare i lavoratori della rilevanza disciplinare della violazione di detta regola di produttività mediante l’affissione del codice disciplinare in luogo accessibile a tutti.

Al di là della fattispecie specifica, la pronunzia della Suprema Corte assume una rilevanza particolare nel senso che parrebbe richiedere, per la liceità di un provvedimento disciplinare, che la relativa condotta inadempiente sia preventivamente contenuta nel codice disciplinare regolarmente affisso e quindi conosciuta dai lavoratori.

Ma le ipotesi di comportamenti inadempienti e quindi disciplinarmente rilevanti sono, alla fine, estremamente numerose e variegate per cui risulta praticamente impossibile individuare, e trasfondere nel codice disciplinare, qualsiasi condotta che possa essere contraria agli interessi aziendali.

Anzi un’eccessiva specificità potrebbe, alla fine, essere controproducente perché si sostanzierebbe in una sorta di limitazione delle fattispecie disciplinarmente rilevanti, potendo indurre qualche giudicante particolarmente scrupoloso a ritenere tutte le condotte non contenute nel codice disciplinare non contestabili.

Ma proprio la riesumazione della normativa disciplinare, dettata negli anni ‘70 del secolo scorso, e come tale un po’ superata, ci fa ritenere che la sentenza sopra citata possa fornire spunto, in qualche giudizio, per vanificare il potere disciplinare datoriale, assumendo l’insufficienza del contenuto del codice disciplinare.

A nostro parere, invece, già nell’obbligo di diligenza del prestatore di lavoro prevista dall’articolo 2104 del Codice civile si può individuare la fonte che obbliga il lavoratore a osservare le disposizioni aziendali, come specificamente previsto dal secondo comma dello stesso articolo.

Al più potrebbe essere opportuno, nel codice disciplinare, prevedere il tipo di sanzione da applicarsi in caso di violazione delle disposizioni e delle procedure aziendali ma non si può certo richiedere una specificazione, né tantomeno un’elencazione, di quelle che sono le regole dell’esecuzione della prestazione lavorativa. Senza contare che vi possono essere comportamenti dei lavoratori non strettamente inerenti all’attività lavorativa ma non per questo meno rilevanti sotto il profilo del buon andamento dei rapporti in azienda pur non incidendo direttamente sulla produzione o sul servizio. Ed anche in questo caso è difficile ipotizzare un’individuazione delle fattispecie rilevanti.

Interpretazione elaborata in collaborazione con ISPER HR Review del 26 ottobre 2022.


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