Azione INPS per il recupero dei contributi per errato uso del massimale contributivo | ADLABOR

L’INPS tra la fine del 2020 e il primo trimestre del 2021 ha avviato una campagna di recupero dei contributi pensionistici IVS, per i periodi dal 2015 in avanti, riguardante tutti i lavoratori dipendenti nei cui confronti è stata riscontrata una omissione contributiva legata all’errata applicazione del massimale contributivo.

Quadro normativo.

L’articolo 2, comma 18, L. 8 agosto 1995, n. 335, a partire dal 1.1.1996, ha introdotto nel sistema pensionistico italiano il metodo di calcolo contributivo, con l’ulteriore previsione,

  1. per coloro che fossero privi anteriormente al 1996, di qualsiasi anzianità contributiva,
  2.  ovvero per coloro che abbiano optato per il regime contributivo,

di un massimale contributivo annualmente rivalutato oltre il quale non è dovuta né da parte del datore di lavoro né da parte del dipendente la contribuzione IVS.

Il massimale contributivo di cui all’articolo 2, comma 18, della legge 8 agosto 1995, n. 335, costituisce pertanto il limite di valore , annualmente rivalutato , oltre il quale la retribuzione non deve essere assoggettata a prelievo di contributi previdenziali e riguarda i lavoratori privi di anzianità contributiva riferibile a periodi anteriori al 1° gennaio 1996 ovvero coloro che abbiano optato per il regime contributivo[1].

Per anzianità contributiva si intende il complesso degli accrediti – pur se registrati in gestioni diverse – relativi a rapporti di lavoro privati o pubblici, dipendenti o autonomi (con versamenti di contributi, in tal caso, presso le rispettive casse di previdenza), in Italia o all’estero, entro il 31 dicembre 1995.

Sono inoltre da intendersi inclusi i periodi di contribuzione figurativa, di contribuzione facoltativa, i riscatti, i trasferimenti gratuiti ed onerosi, nonché la contribuzione volontaria.


L’azione di accertamento dell’errata applicazione del massimale contributivo da parte dell’INPS.

L’INPS, per verificare l’avvenuta omissione contributiva da parte dei datori di lavoro che hanno applicato il massimale contributivo ha incrociato i seguenti due dati:

  • la contribuzione IVS “bloccata” al massimale contributivo;
  • la presenza di contributi di qualsiasi genere ante 1996 nelle posizioni assicurative dei soggetti coinvolti.

Se all’esito del controllo incrociato l’INPS dovesse avere la conferma delle seguenti due circostanze:

  • presenza di anzianità contributiva antecedente la data del 1° gennaio 1996,
  • assenza di esercizio dell’opzione per il sistema contributivo ai sensi dell’articolo 1, comma 23, della legge n. 335/1995;

procederà al recupero dei contributi non versati applicando l’aliquota IVS piena (comprensiva dell’aliquota aggiuntiva dell’1%, a carico del dipendente, di cui all’art. 3-ter del D.L. n. 384/1992)[2].

Infine INPS col messaggio n. 5062 del 31.12.2020 ha indicato come i controlli effettuati hanno evidenziato, dal 2015, due tipi di errori:

  • imponibili ai fini Ivs con valori inferiori al massimale in presenza di retribuzioni più alte, per chi era effettivamente privo di contributi ante 1996;
  •  erronea applicazione del massimale in presenza di contributi anteriori al 1996, senza alcuna esplicita opzione per il metodo contributivo (che avrebbe comportato il rispetto del massimale dal mese dopo l’opzione).

E sta accadendo che tra la fine di dicembre 2020 e il primo trimestre 2021 molte aziende, hanno ricevuto avvisi di «Recupero contributi  da eccedenza massimale ex art. 2 Comma 18 L. 335/1995» che, interrompendo il decorso della prescrizione dal 2015 in avanti, quantificano la contribuzione omessa oltre il massimale e applicano automaticamente il regime sanzionatorio della omissione contributiva, richiedendo il pagamento entro 90 giorni dal ricevimento dell’avviso.

Si precisa inoltre che per gli avvisi di accertamento aventi ad oggetto l’anno 2015, il termine di prescrizione contributivo di 5 anni è stato sospeso e prorogato  una prima volta per  129 giorni da febbraio 2020 a giugno 2020 dal D.L. n. 18/2020 (diventando pari a poco più di 5 anni e 4 mesi) e poi ulteriormente sospeso per altri sei mesi fino al giugno 2021 ex art. 11 c. 9 del cd. decreto mille proroghe (D.L. 183/2020).

Ma come deve atteggiarsi un’azienda nei confronti di tale accertamento INPS e nei confronti dei suoi dipendenti che potrebbero essere coinvolti in tali verifiche?

Innanzitutto occorre rammentare, le istruzioni INPS contenute nella circolare n. 177/1996 che prevedono che, per tutti gli assunti dopo il 31.12.1995, i datori di lavoro avrebbero dovuto acquisire una dichiarazione del lavoratore sull’esistenza o meno di periodi utili o utilizzabili ai fini dell’anzianità contributiva anteriori al 1996.

In particolare la Circolare INPS n. 177/1996 afferma che:

 “Agli effetti degli adempimenti contributivi si osserveranno i seguenti criteri.
a) Per i lavoratori assunti dopo il 31.12.1995, nel momento in cui il loro livello retributivo si attesti al di sopra del massimale annuo di L. 132 milioni, i datori di lavoro dovranno acquisire una dichiarazione del lavoratore attestante l’esistenza o meno di periodi utili o utilizzabili ai fini dell’anzianità contributiva anteriori al 1° gennaio 1996.
In caso affermativo sottoporranno a contribuzione pensionistica l’intera retribuzione senza cioè applicare il massimale.
b) In caso di dichiarazione negativa ed in assenza di diverse risultanze eventualmente rilevate da altra fonte in possesso del datore di lavoro, quest’ultimo sottoporrà al prelievo contributivo ai fini pensionistici la sola quota di retribuzione sino al massimale annuo di L. 132 milioni annualmente rivalutabile”.

Appare quindi evidente, anche nell’ottica di valutare la fondatezza di una eventuale azione di responsabilità nei confronti del dipendente per cui è pervenuto l’accertamento contributivo e le relative sanzioni, come fosse onere del datore di lavoro acquisire per tempo tale dichiarazione.

INPS aveva poi effettuato una ulteriore precisazione che rende ancora più articolato il quadro e a cui occorre prestare attenzione.

Con circolare 42 del 17 marzo del 2009 l’INPS ha chiarito che il dipendente che, anche dopo l’assunzione, ha ottenuto/ottiene l’accredito figurativo gratuito del servizio militare o sostiene l’onere del riscatto della laurea, dovrà tempestivamente comunicarlo al datore per consentirne l’obbligatoria disapplicazione del massimale dal mese successivo alla richiesta dell’accredito o del riscatto.

La citata circolare ribadisce inoltre come, ai fini della anzianità contributiva ante 1996, rilevi la contribuzione di qualsiasi tipo versata per lavoro, riscatto o anche all’estero (in Europa o presso altri paesi convenzionati con l’Italia).

In questo caso va evidenziato come l’onere di comunicazione è in capo al dipendente.

In ogni caso , a livello pratico, le aziende coinvolte in tale campagna di accertamento, salvo errori dell’INPS sull’avvenuta opzione del sistema contributivo da parte del dipendente, dovranno:

  • procedere al pagamento dei contributi in quanto dovuti per non applicabilità del massimale;
  • valutare poi una eventuale azione di risarcimento nei confronti del dipendente, in presenza di una dichiarazione errata o non aggiornata sulla presenza di contributi ante 1996, avente ad oggetto le sanzioni ed eventualmente  la stessa quota dei contributi a carico del dipendente.

Le aziende dovranno quindi verificare per i dipendenti in questione (quelli con retribuzione annua superiore a 100.324,00 Euro nell’anno 2016[3]) assunti ante 31.12.1995 o che successivamente abbiano riscattato periodi contributi pregressi se:

  • È stata acquisita la dichiarazione attestante la presenza o meno di pregressa anzianità contributiva e se tale dichiarazione fosse corretta;
  • il dipendente ha optato per il sistema contributivo o meno;
  • il dipendente ha comunicato o meno, anche in corso di rapporto,di avere riscattato pregressi periodi ante 1.1.1996.

Solo se ci fosse un inadempimento del lavoratore sarebbe possibile ( ma comunque l’esito sarebbe incerto)  richiedere il risarcimento del danno pari però alle sole sanzioni (ovviamente i contributo se dovuti  vanno pagati dall’azienda).

Inoltre, si suggerisce di estendere il controllo anche a tutti i lavoratori  cui fino ad ora si è applicato il massimale e sono ancora in forze, onde evitare futuri successivi atti di accertamento da parte dell’Ente, operando una verifica delle dichiarazioni presentate dai dipendenti e verificandone  l’attendibilità con un estratto contributivo aggiornato.

Se da tali controlli venisse ravvisata una contribuzione  ante 1996, anche determinata da riscatti etc., andrà eliminata tempestivamente l’applicazione del massimale contributivo  onde evitare future diffide.

 

Avv. Francesco Bedon

 

 

[1] Per opzione al sistema contributivo si intende la scelta validamente esercitata dal soggetto ai sensi dell’articolo 1, comma 23, della legge n. 335/1995, regolarmente ratificata dall’Inps.

L’opzione ha carattere irrevocabile e determina l’applicabilità del limite del massimale a decorrere dal suo esercizio.

[2] Ex artt. 19 e 23 L. 4.4.1952, n. 218, il datore di lavoro è responsabile del pagamento dei contributi anche per la parte a carico del lavoratore e che la rivalsa della quota a carico del lavoratore è ammessa, in linea di principio, solo qualora questa venga effettuata al termine del periodo di paga cui tale contribuzione si riferisce.

[3] Circolare INPS n. 11 del 27/01/2016


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