Gli incentivi all’esodo | ADLABOR

Quali sono le tipologie di incentivazione a disposizione del datore di lavoro e quali sono gli eventuali riflessi sotto il profilo contributivo e fiscale? Nelle note che seguono cercheremo di fare il punto della situazione.

Da tempo immemorabile i datori di lavoro, di fronte alla necessità di risolvere un rapporto di lavoro evitando di ricorrere a misure unilaterali (leggi: licenziamento) che comportano quasi sempre l’instaurazione di un contenzioso, hanno proposto al lavoratore forme di incentivazione alla risoluzione consensuale.

Dottrina e giurisprudenza si sono posti la questione se ciò fosse lecito, se, cioè, il proprio rapporto di lavoro rientrasse tra i diritti disponibili di un lavoratore, dando una risposta positiva: “La rinuncia o la transazione conclusa tra dipendente e datore di lavoro, avente ad oggetto la risoluzione del rapporto di lavoro, non rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 2113 c.c. in quanto, anche quando è garantita la stabilità del posto di lavoro, questa garanzia dipende da leggi o disposizioni collettive, mentre l’ordinamento riconosce al lavoratore il diritto potestativo di disporre negozialmente e definitivamente del posto di lavoro stesso, in base all’art. 2118 c.c..[1]

 

La cornice normativa

Le principali nome di legge che prevedono o disciplinano le forme di incentivazione sono:

  • L’art. 7 della Legge 15 luglio 1966 n. 604[2] che, al comma 2, prevede l’obbligo del datore di lavoro di indicare nella comunicazione preventiva al licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo anche “le eventuali misure di assistenza alla ricollocazione del lavoratore interessato[3]”.
  • L’art. 12 della Legge 30 aprile 1969, n. 153[4] che, al comma 4, lettera b, esclude dalla base imponibile ai fini contributivi le “somme corrisposte in occasione della cessazione del rapporto di lavoro al fine di incentivare l’esodo dei lavoratori, nonchè quelle la cui erogazione trae origine dalla predetta cessazione, fatta salva l’imponibilità dell’indennità sostitutiva del preavviso
  • L’art. 17 del Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986 n. 917, (Testo unico delle imposte sui redditi) che, al comma 1, lett. a), prevede una tassazione ridotta per “altre indennità e somme percepite una volta tanto in dipendenza della cessazione dei rapporti di lavorononché le somme e i valori comunque percepiti, al netto delle spese legali sostenute, anche se a titolo risarcitorio o nel contesto di procedure esecutive, a seguito di provvedimenti dell’autorità giudiziaria o di transazioni relativi alla risoluzione del rapporto di lavoro”;
  • L’art. 4 della Legge 23 luglio 1991, n. 223, che, al comma 3, prevede espressamente l’obbligo del datore di lavoro di indicare, nella comunicazione che attiva la procedura di licenziamento collettivo, il “metodo di calcolo di tutte le attribuzioni patrimoniali diverse da quelle già previste dalla legislazione vigente e dalla contrattazione collettiva”;
  • L’art. 4 della Legge  28  giugno  2012,    92 che, al comma 1, prevede la possibilità di accordi sindacali che, in caso di eccedenza di personale, “al fine di incentivare l’esodo dei lavoratori più anziani, il datore di lavoro si impegni a corrispondere ai lavoratori una prestazione di importo pari al trattamento di pensione che spetterebbe in base alle regole vigenti”.
  • L’art. 6 del Decreto Legislativo 4 marzo 2015 n.23 che, al 1° comma, prevede, in caso di licenziamento individuale di un lavoratore in forza con contratto a tutele crescenti, la possibilità del datore di lavoro, al fine di evitare il giudizio di “offrire al lavoratore, entro i termini di impugnazione stragiudiziale del licenziamento, in una delle sedi di cui all’articolo 2113, quarto comma, del codice civile, e all’articolo 76 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni, un importo che non costituisce reddito imponibile ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e non è assoggettato a contribuzione previdenziale, di ammontare pari a una mensilità della retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a due e non superiore a diciotto mensilità, mediante consegna al lavoratore di un assegno circolare. L’accettazione dell’assegno in tale sede da parte del lavoratore comporta l’estinzione del rapporto alla data del licenziamento e la rinuncia alla impugnazione del licenziamento anche qualora il lavoratore l’abbia già proposta. Le eventuali ulteriori somme pattuite nella stessa sede conciliativa a chiusura di ogni altra pendenza derivante dal rapporto di lavoro sono soggette al regime fiscale ordinario.

 

Definizione e tipologie di incentivazione all’esodo

Per “incentivazione all’esodo” si intendono tutte le misure che il datore di lavoro intende proporre al lavoratore affinchè questi accetti di risolvere il rapporto di lavoro. Come vedremo, alcune di queste misure hanno carattere eminentemente economico, altre sono di sostegno al lavoratore per la ricerca di una nuova occupazione ed altre ancora finalizzate al prepensionamento del lavoratore stesso.

Molte delle misure di cui accenneremo possono essere poste in essere nell’ambito di rapporti strettamente individuali e diretti con il lavoratore, altre, invece, sono riferite ad una collettività di lavoratori, spesso con la necessità di essere previste e disciplinate da accordi sindacali.

  1. a) Incentivazione all’esodo a livello individuale di tipo economico: nel momento in cui il datore di lavoro ritiene che il rapporto con un suo lavoratore non sia più compatibile con l’organizzazione aziendale (come nel caso di prevista soppressione di un posto di lavoro), oppure che la sua permanenza in azienda sia ritenuta non più accettabile (come nel caso di comportamenti disciplinarmente rilevanti), oppure, ancora, vi siano situazioni personali del lavoratore (come ad esempio nel caso di lavoratori assenti per malattie od infortuni di lunga durata), il lavoratore sarà contattato dal datore di lavoro (o dalle strutture aziendali e non aziendali[5] che lo rappresentano) offrendogli una determinata cifra affinchè accetti di risolvere consensualmente il rapporto di lavoro. Precisando subito che nel caso di comportamenti disciplinarmente rilevanti è importante cercare di evitare di proporre l’incentivazione come alternativa all’instaurazione di un contenzioso disciplinare o addirittura giudiziario, va detto che, laddove il lavoratore prenda in seria considerazione l’offerta datoriale, si instaurerà una sorta di negoziazione dell’importo e delle condizioni della sua erogazione. In questa fase, sarà importante precisare:

– il metodo di calcolo dell’incentivazione: sarà possibile parlare di una cifra determinata (ad esempio: 30.000 euro), oppure di un determinato numero di mensilità della retribuzione. In tal caso sarà necessario precisare quali saranno le voci componenti la retribuzione mensile di riferimento (solo quella fissa, comprensiva o meno di indennità varie, o anche quella variabile, nonchè se comprensiva dei ratei di retribuzione differità -tredicesima, quattordicesima, trattamento di fine rapporto-) e se tale retribuzione mensile di riferimento è al lordo o al netto delle ritenute fiscali e contributive;

– se, unitamente all’incentivazione economica, saranno riconosciuti anche alcuni dei fringe benefits di cui godeva il lavoratore (ad esempio, auto aziendale, telefono cellulare, assicurazioni sulla vita, assistenza sanitaria integrativa, ecc.)

– che, una volta raggiunto l’accordo, entrambe le parti rinunceranno al contrattuale periodo di prevviso (o alla relativa indennità sostitutiva);

– che la cifra complessivamente offerta (e concordata) vale anche come transazione ai fini di qualsiasi eventuale futura rivendicazione del lavoratore;

– che le intese raggiunte dovranno essere confermate in una delle sedi indicate dall’art. 2113 del Cod. civ., e cioè la Direzione territoriale del lavoro DTL territorialmente competente (art. 410 Cod. proc. civ.), oppure le sedi previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative (art. 412-ter Cod. proc. civ. (c.d. “conciliazione in sede sindacale”), oppure, ancora, innanzi al Collegio di conciliazione e arbitrato irrituale (art. 412-quater Cod. Proc. Civ.) ed infine presso le Commissioni di certificazione (art. 82 D.Lgs. 276/2003).

  1. b) Incentivazione all’esodo a livello individuale di tipo non direttamente economico: in taluni casi, l’incentivazione all’esodo può consistere nell’offerta del datore di lavoro di mettere a disposizione del lavoratore un servizio di consulenza alla ricollocazione (“outplacement”[6]), oppure nella proposta di trasformare il rapporto di lavoro da subordinato in rapporto di lavoro autonomo o imprenditoriale.

Se l’outplacement di norma non è da solo sufficiente a raggiungere l’accordo con il lavoratore per una risoluzione consensuale, più interessanti sono invece le misure di novazione del rapporto di lavoro, ma con le seguenti precisazioni:

– il rapporto di lavoro autonomo deve avere necessariamente tutte le caratteristiche tipiche di questa forma contrattuale (non soggezione al potere direttivo del committente ex datore di lavoro, reale autonomia del lavoratore, contenuti professionali di significativa rilevanza). In caso contrario è possibile che in un eventuale contenzioso giudiziario –non necessariamente instaurato dal lavoratore, ben potendo nascere da ispezioni degli organi ispettivi del Ministero del lavoro o degli Enti previdenziali- il giudice stabilisca che gli accordi di novazione erano in realtà negozi simulati.

– il rapporto imprenditoriale prevede spesso che l’ex datore di lavoro si impegni a garantire al suo ex dipendente, ora imprenditore, oltre alla corresponsione di una cifra atta ad iniziare la nuova attività (magari con le stesse modalità dell’incentivazione all’esodo di tipo economico), anche contratti di fornitura di beni o servizi per un determinato periodo di tempo;

– anche in queste ipotesi le intese raggiunte dovranno essere confermate in una delle sedi indicate dall’art. 2113 del Cod. civ. sopra precisate.

Talune aziende ritengono che possa rientrare tra le misure di incentivazione all’esodo anche il patto di non concorrenza, condizionando l’eventuale accordo sulla risoluzione consensuale alla sua accettazione da parte del lavoratore: è nostra opinione che questo patto, anche se prevede un rilevante corrispettivo economico, non possa essere considerato una vera misura di incentivazione all’esodo in quanto la gran parte dei lavoratori lo vive come una limitazione della propria libertà al lavoro e, come tale, non interessante o, comunque, non determinante ai fini di una risoluzione consensuale.

Non può essere ritenuta una forma di incentivazione la somma di denaro che il datore di lavoro, ex art. 6 del D.Lgs. 23/2015, offre al lavoratore che, già in forza con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a tutele crescenti, è stato licenziato individualmente. Tale somma andrebbe in effetti qualificata  come risarcimento del danno, in quanto la finalità dell’offerta economica (una somma di importo variabile da 2 a 18 mensilità della retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, offerta mediante assegno circolare) è quella di evitare l’instaurazione di un contenzioso giudiziario[7].

  1. c) Incentivazione all’esodo a livello collettivo di tipo economico: nei casi in cui le aziende ritengano necessario -o anche soltanto opportuno- ridurre il costo del personale[8] con effettive risoluzioni dei rapporti di lavoro, senza però attivare per il momento le procedure di legge per i licenziamenti collettivi, da tempo vengono poste in essere delle azioni volte ad incentivare economicamente le risoluzioni consensuali di significative aliquote di lavoratori.

Tali azioni, finalizzate essenzialmente a rendere meno traumatica la riduzione del personale in forza e ad evitare ripercussioni negative sulle attività correnti e sull’immagine aziendale, prevedono quasi sempre:

– una preventiva analisi del numero di possibili lavoratori interessati, suddivisi per face d’età e categorie di inquadramento. Tale analisi, che dovrebbe essere effettuata dalle Direzioni delle risorse umane, laddove esistenti[9], deve anche evidenziare quali dei possibili lavoratori teoricamente interessati debbano però essere esclusi dall’offerta, in quanto ritenuti risorse troppo valide per l’azienda e, quindi, da non incentivarne l’uscita;

– una preventiva valutazione delle cifre messe a disposizione (globalmente ed individualmente[10]), con contestuale preventiva analisi del rapporto costi/benefici (quest’ultima, tesa a valutare in quanto tempo le misure di incentivazione economica possano portare ad un’effettiva riduzione del costo del personale);

– la predisposizione di un idoneo piano di comunicazione interna (rivolta ai lavoratori) ed esterna (rivolta al mercato). Un esempio di facsimile di comunicazione interna è riportato in calce alle presenti note.

Il piano di incentivazione collettiva all’esodo può essere predisposto ed attuato sia unilateralmente dall’azienda, sia costituire elemento di un accordo sindacale, raggiunto talora nell’ambito di una procedura di licenziamenti collettivi. Ricordiamo infatti che l’art. 4 della Legge 223/1991 (che si applica però solo ai datori di lavoro con più di 15 dipendenti), prevede espressamente al comma 3 l’obbligo del datore di lavoro di indicare, nella comunicazione che attiva tale procedura, il “metodo di calcolo di tutte le attribuzioni patrimoniali (offerte ai lavoratori N.d.A.) diverse da quelle già previste dalla legislazione vigente e dalla contrattazione collettiva”.

  1. d) Incentivazione all’esodo a livello collettivo di tipo non economico

In alternativa o, più raramente, in aggiunta ad incentivazioni di tipo economico, talune aziende hanno ritenuto di proporre ai propri lavoratori più anziani, in cambio della risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, la possibilità di corrispondere il trattamento di pensione che spetterebbe loro in base alle regole di legge in vigore al momento dell’accordo.

Le condizioni per poter adottare questa tipologia di incentivazione prevista dall’art.  4 della Legge   n.  92/2012 (c.d. “Legge Fornero”) sono:

  • che i datori di lavoro occupino mediamente più di 15 dipendenti;
  • che vi sia eccedenza di personale;
  • che tra il personale in eccedenza vi siano lavoratori (compresi i dirigenti) che raggiungeranno i requisiti minimi per il pensionamento (sia di vecchiaia, sia anticipato), nei quattro anni successivi alla cessazione dal rapporto di lavoro;
  • che venga sottoscritto tra datori di lavoro e le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello aziendale uno specifico accordo sindacale, in base al quale il datore di lavoro, oltre ad impegnarsi a corrispondere ai lavoratori più anziani una prestazione di importo pari al trattamento di pensione che spetterebbe in base alle regole vigenti, si impegni anche a corrispondere all’INPS la contribuzione fino al raggiungimento dei requisiti minimi per il pensionamento. Tale accordo diviene efficace soltanto dopo che il datore ha presentato all’INPS apposita domanda (corredata da una fideiussione bancaria a garanzia della solvibilità in relazione agli obblighi) e dopo che la stessa INPS abbia verificato la sussistenza di tutte le condizioni di legge[11].

E’ probabile che il nuovo meccanismo predisposto dal Governo e contenuto nel Disegno di Legge di Stabilità 2017 per consentire ai lavoratori anziani[12] di andare anticipatamente in pensione (“APe”, Anticipo Pensionistico) possa diventare un ulteriore strumento di incentivazione all’esodo.

 

Trattamento fiscale e contributivo delle incentivazioni all’esodo

In tutte le ipotesi in cui l’incentivazione all’esodo è di tipo direttamente economico, le relative somme saranno assoggettate fiscalmente, ex art. 17 DPR 917/1986, a tassazione separata., mentre non vi sarà alcun tipo di ritenuta contributiva.

Non è invece chiaro quale sia il regime di assoggettamento fiscale e contributivo di forme di incentivazione non direttamente economica, ma che hanno comunque un valore, come i fringe benefits o l’ouplacement.

A cura degli Avv. ti Massimo Goffredo e Vincenzo Meleca

[1]Cassazione civile, sez. lav., 28 marzo 2003,  n. 4780, in Dir. e prat. 2003, 1987.

[2] Come sostituito dall’articolo 1, comma 40, della Legge 28 giugno 2012, n. 92.

[3] Indirettamente collegato al tema di cui stiamo trattando, va citato anche l’art. 4 del D.Lgs. 10 settembre 2003 n.276, che indica le condizioni per lo svolgimento dell’attività di supporto alla ricollocazione professionale da parte di società specializzate.

[4] Come sostituito dall’articolo 6, comma 1, del D.Lgs. 2 settembre 1997, n. 314.

[5] Tali strutture esterne possono essere dei professionisti (avvocati, consulenti del lavoro) od anche delle società (ad esempio quelle di outplacement).

[6] Ricordiamo che l’outplacement, previsto talora anche in alcuni contratti collettivi (ad esempio, dagli articoli 21 e 40 dell’accordo di rinnovo del CCNL dirigenti terziario 21 luglio 2016) consiste in una forma di contratto a favore di terzi con la quale un datore di lavoro incarica una società di consulenza specializzata affinchè assista un lavoratore (che abbia gia’ risolto il suo rapporto con il primo, o che sia in fase di risoluzione), per un suo reinserimento, il piu’ rapido e proficuo possibile. Caratteristiche importanti per la buona riuscita di questo strumento di gestione delle risorse umane sono le seguenti:

– che vi sia il consenso del lavoratore.

– che l’outplacement venga percepito dal lavoratore come un beneficio aggiuntivo.

– che la societa’ di consulenza fornisca al lavoratore un supporto qualificato in campo psicologico, logistico e professionale  per un periodo di tempo significativo, meglio se a tempo indeterminato.

[7] Interessante notare che se la somma offerta rientra nel limite massimo di 18 mensilità ed è accettata dal lavoratore, essa non costituisce reddito imponibile ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e non è assoggettata a contribuzione previdenziale, mentre eventuali somme aggiuntive saranno soggette al regime fiscale ordinario.

[8] Molto spesso il costo del personale viene confuso con il costo del lavoro. In realtà il costo del lavoro è solo una componente -rilevante, ma sempre componente- del costo del personale, che comprende anche tutte le altre voci di costo collegate al personale stesso, quali i costi dei servizi di welfare (ad esempio: ristorazione collettiva, assistenza sanitaria, assicurazioni non obbligatorie vita e infortuni, asili nido, ecc.) o dei costi dei fringe benefits (ad esempio: autovetture e telefoni cellulari per uso promiscuo)

[9] La predisposizione del piano di incentivazioni collettive all’esodo può comunque essere affidata ad esperti consulenti esterni

[10] Solo a livello indicativo, talune aziende dei settori credito, assicurazioni, petrolifero ed informatico hanno offerto, come livello massimo, un numero di mensilità di retribuzione lorda di 48 mensilità

[11] In caso di accordo, il datore di lavoro potrà recuperare quanto versato all’INPS per la gestione degli interventi assistenziali e di sostegno alle gestioni previdenziali (tre volte il trattamento mensile iniziale di mobilità spettante a ciascun lavoratore coinvolto in una procedura di licenziamenti collettivi conclusa con accordo sindacale). Cfr. Circolare INPS 11 luglio 2014, n. 90; e Messaggi INPS 27 giugno 2013, n. 10358; 29 luglio 2014, n. 6319; 12 dicembre 2014, n. 9607; 6 maggio 2015, n. 3088; 6 maggio 2015, n. 3096; 20 gennaio 2016, n. 216; 20 maggio 2016, n. 2256.

[12] La platea dei lavoratori interessati identificata dal Disegno di legge comprende quelli che, al momento dell’accordo, abbiano 63 anni compiuti di età ed a cui manchino non più di tre anni e 7 mesi al perfezionamento della pensione di vecchiaia.


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