Il datore è obbligato a versare i contributi previdenziali se con una transazione il lavoratore rinuncia all’indennità sostitutiva del preavviso? | ISPER HR REVIEW | ADLABOR

È un principio consolidato che qualora intervenga tra datore di lavoro e lavoratore una conciliazione relativa alla definizione delle pendenze riconducibili alla cessazione del rapporto di lavoro subordinato, il negozio transattivo stipulato tra le parti ha, usualmente, natura novativa, costituendo l’unica ed originaria fonte dei diritti e degli obblighi successivi alla risoluzione.

La diretta conseguenza di ciò è che le somme dovute al lavoratore, ancorché aventi natura retributiva, restano disancorate dal preesistente rapporto e il relativo importo non può essere computato per la determinazione della base imponibile per il calcolo dei contributi di previdenza ed assistenza sociale (Cass., Sez. Lav., 4 agosto 2017, n. 19587).

Peraltro, la Suprema Corte, facendo seguito all’orientamento già espresso in precedenti pronunce (Cass. sez. lav. n. 20146 del 23 settembre 2010; Cass. n. 13717 del 14 giugno 2006 e Cass. n. 17495 del 28 luglio 2009) ha precisato che “la transazione è estranea al rapporto di lavoro ed agli obblighi contributivi, perché alla base del calcolo degli oneri previdenziali deve sempre essere posta la retribuzione prevista per legge o per contratto, individuale o collettivo; ne consegue che le somme pagate a titolo di transazione dipendono da quest’ultimo contratto e non dal diverso contratto di lavoro, sicché l’assoggettabilità a contribuzione delle poste contenute nell’accordo transattivo è conseguenza dell’accertata natura retributiva delle stesse” (Cass., sez. lav., n. 15411/2020, conforme Corte d’Appello di Perugia, Sent n. 4 del 18 gennaio 2023).

In sostanza, il principio dettato dalla Corte di Cassazione afferma che, anche in presenza di una transazione intervenuta per prevenire oppure per estinguere una lite giudiziaria, l’indagine del giudice sulla natura retributiva o meno di determinate somme erogate al lavoratore non trova alcun limite nel titolo formale di tali erogazioni, anche perché le stesse potrebbero trovarsi in nesso non di dipendenza ma di occasionalità con il rapporto di lavoro e quindi non essere assoggettabili a contribuzione.

Diretta conseguenza di ciò è che, rimanendo l’obbligazione contributiva insensibile agli effetti della transazione, l’INPS ha la facoltà di azionare il credito contributivo provando – con qualsiasi mezzo ed anche in via presuntiva dal tenore del contratto di transazione e dal contesto dei fatti in cui è inserito – quali siano le somme assoggettabili a contribuzione spettanti al lavoratore.

Ma, alla luce di quanto sopra esposto, come viene considerata la rinuncia del lavoratore licenziato/licenziando all’indennità sostitutiva del preavviso?

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 8913 del 29 marzo 2023, ha affermato che le parti possono, consensualmente, trovare un accordo tramite una conciliazione in sede protetta, avente ad oggetto anche la rinuncia del lavoratore alla indennità sostitutiva del preavviso.

I giudici della Suprema Corte hanno tuttavia osservato che le somme erogate in adempimento della transazione trovano titolo in essa e non nel rapporto di lavoro, “ma ciò non toglie all’Inps la possibilità di chiedere il versamento della contribuzione relativa al preavviso, in quanto la transazione non può incidere sul distinto rapporto previdenziale e la rinuncia al diritto non è opponibile all’Istituto”.

Infatti, in base alla regola del minimale contributivo, posta dall’art.1 d.l. n.338/89 – la quale prevede che la retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi di previdenza e di assistenza sociale non può essere inferiore all’importo delle retribuzioni stabilito da leggi – sono dunque irrilevanti inadempimenti contrattuali del datore verso il lavoratore che implichino un omesso pagamento o un pagamento della retribuzione in misura inferiore a quello dovuto per legge, come sono irrilevanti eventuali accordi tra datore e lavoratore in base ai quali si stabilisca la non debenza della retribuzione.

E la Corte di Cassazione, con sentenza del 13 maggio 2021, n. 12932, ha affermato che l’obbligo di versare i contributi sull’indennità sostitutiva del mancato preavviso sorge nel momento in cui il licenziamento acquisisce efficacia.

“È nel momento stesso in cui il licenziamento acquista efficacia che sorge il diritto del lavoratore all’indennità sostitutiva del preavviso e la conseguente obbligazione contributiva su tale indennità: se poi, successivamente, il lavoratore licenziato rinunci al diritto all’indennità, tale rinuncia non potrà avere alcun effetto sull’obbligazione pubblicistica, preesistente alla rinuncia e ad essa indifferente perché il negozio abdicativo proviene da soggetto (il lavoratore) diverso dal titolare (l’INPS).”

Ciò sta a significare che avendo il licenziamento già prodotto l’effetto risolutivo del rapporto lavorativo, l’indennità di mancato preavviso (qualora espressamente riconosciuta dal datore di lavoro nell’intimare il recesso), costituisce un elemento retributivo già entrato a far parte del patrimonio del dipendente, e come tale soggetto ad obbligazione contributiva. Conseguentemente, risultano prive di rilievo le transazioni sottoscritte, successivamente al licenziamento, dai lavoratori licenziati e mediante le quali venga pattuita la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro a epoca successiva rispetto alla firma della scrittura medesima, con rinuncia ad ogni ulteriore pretesa, compresi il preavviso o l’indennità sostitutiva del preavviso.

Se il lavoratore licenziato rinuncia al diritto all’indennità di preavviso, anche sottoscrivendo un accordo transattivo che regoli in maniera diversa l’obbligo riguardante la retribuzione, tale rinuncia non ha alcun effetto sull’obbligazione contributiva in quanto tale rinuncia non ha valore provenendo dal lavoratore e non dall’INPS che è il titolare del diritto contributivo.

La transazione intervenuta tra datore di lavoro e lavoratore rimane quindi estranea al rapporto contributivo in quanto alla base del calcolo dei contributi previdenziali è posta la retribuzione dovutaper legge o per contratto, e non quella di fatto corrisposta.

Interpretazione elaborata in collaborazione con ISPER HR Review del 24 maggio 2023.


Vedi Argomenti
error: Content is protected !!