Lavoro A Termine – Disciplina | ADLABOR

 

La disciplina generale del contratto a termine è contenuta nel D. Lgs. 368/2001, che ha recepito la direttiva Comunitaria 99/70/CE, ed ha sostituito ed abrogato (così come sancito dall’Art. 11) il precedente testo di legge in materia, la L. 230/1962, che individuava tassativamente le ipotesi (c.d. casi di specialità) di apposizione del termine. Diversamente il D. Lgs. n. 368/2001 all’Art. 1 stabilisce che il contratto a tempo determinato può essere stipulato “a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”.

Il D.L. 112/2008, convertito in legge 6.8.2008 n. 133, ha specificato che le suddette causali possono essere riferite anche alla ordinaria attività del datore di lavoro.

Sulla materia si è espresso il Ministero del Lavoro con la circolare n. 42 del 1. 8.2002 onde fornire indicazioni interpretative. L’ orientamento del Ministero del Lavoro sembra favorire il contratto a termine mentre la giurisprudenza ha sempre interpretato in maniera restrittiva la facoltà di ricorso a rapporti di lavoro a tempo determinato. Analizziamo le principali problematiche connesse con il rapporto a tempo determinato indicando gli orientamenti ministeriali e quelli giurisprudenziali segnalando però che le interpretazioni ministeriali non costituiscono un criterio interpretativo vincolante per il giudice.

    1. Sulle ragioni giustificatrici

 

Con riferimento all’Art. 1 del D. Lgs. 368/2001 che cita le “ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo” la circolare ministeriale precisa che: “Si tratta, come detto, di una clausola generale ed aperta la cui funzione è quella di consentire l’ utilizzazione flessibile dell’ istituto in raccordo con le specifiche e variabili esigenze concrete di ciascun datore di lavoro. Tali ragioni, specificate in via preventiva dal datore di lavoro nel contratto stipulato, devono rispondere ai requisiti della oggettività e, pertanto, debbono essere verificabili al fine di non dar luogo ad eventuali comportamenti fraudolenti o abusivi.

A tal riguardo, è da rilevare che la ragione addotta, purché concretamente riscontrabile, è rimessa all’ apprezzamento del datore di lavoro e deve sussistere e, quindi, essere verificata, al momento della stipulazione del contratto. La sopravvenuta stabilità della esigenza non può incidere sulla legittimità del contratto di lavoro e del suo termine” (sic in circolare n. 42/2002 punto 2.a).

La giurisprudenza ha invece ristretto il concetto di ragioni giustificatrici “In tema di apposizione del termine al contratto di lavoro, il legislatore, richiedendo l’ indicazione da parte del datore di lavoro delle “specificate ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo“, ha inteso stabilire, in consonanza con la direttiva 1999/70/CE, come interpretata dalla Corte di Giustizia (cfr. sentenza del 23 aprile 2000, in causa C-378/07 ed altre; sentenza del 22 novembre 2005, in causa C-144/04), un onere di specificazione delle ragioni oggettive del termine finale, vale a dire di indicazione sufficientemente dettagliata della causale nelle sue componenti identificative essenziali, sia quanto al contenuto, che con riguardo alla sua portata spazio-temporale e piè in generale circostanziale, perseguendo in tal modo la finalità di assicurare la trasparenza e la veridicità di tali ragioni, nonché l’ immodificablità delle stesse nel corso del rapporto; tale specificazione può risultare anche indirettamente nel contratto di lavoro e da esso “per relationem” ad altri testi scritti accessibili alle parti” (Cfr. Cass. Civ. 1 febbraio 2010 n. 2279 in Giust. Civ. Mass. 2010, 2, 146). Nello stesso senso si è nuovamente espressa la Suprema Corte che ha ritenuto generica la clausola appositiva del termine che faccia riferimento alle condizioni contenute in accordi sindacali richiamati, essendosi la società limitata ad “un generico richiamo ad esigenze nascenti dall’opposizione sindacale a processi di mobilità interaziendale, col conseguente trasferimento dei dipendenti che vi hanno aderito”, non avendo evidenziato, né riprodotto gli snodi essenziali della vicenda (Cass. 2 aprile 2010, n. 8112, in Guida al Lav. n. 35, 2010, 48).

Tali ragioni devono consistere in un evento “straordinario od occasionale” che determinano esigenze inconsuete ed imprevedibili tali da sfuggire alla normale programmazione imprenditoriale (Corte Appello Genova 7/11/00, Pres. Russo, est. Meloni, in Lavoro e prev. oggi 2001, pag. 150). I lavoratori debbono essere adibiti a quelle attività connesse alle esigenze straordinarie di cui sopra, “ove infatti non sia chiaramente desumibile se i lavoratori assunti con contratto a tempo determinato siano stati adibiti alle mansioni connesse alle esigenze straordinarie il termine apposto deve considerarsi nullo e i contratti devono essere considerati a tempo indeterminato” (Corte d’Appello di Genova 7/11/00, Pres. Russo, est. Meloni, il Lav. E Prev. Oggi 2001, pag. 150).

Ed ancora: “Deve considerarsi legittima l’apposizione del termine a un contratto allorché sia riconosciuto dalle parti sociale – nell’ambito di accordi stipulati per regolamentare una fase, transitoria, di riorganizzazione dell’azienda – un’esigenza organizzativa oggettiva, l’esistenza del nesso causale intercorrente tra la stessa e l’assunzione a termine e la coerenza tra l’assunzione e la situazione aziendale nell’attualità della quale non è possibile al datore di lavoro stabilire quale sia il suo fabbisogno di personale in pianta stabile per lo svolgimento dell’attività di impresa” (Corte app. Milano 25/10/2005, Pres. Castellini Rel. Sbordone, in Lav. Nella giur. 2006, 71).

Sempre nello stesso senso si è espressa la Giurisprudenza di merito che ha affermato: “le ragioni oggettive ….. devono essere specificatamente individuate nel contratto e avere i connotati della strutturale temporaneità, in modo tale che sia accertabile il nesso di causa fra le suddette ragioni e la temporaneità dell’ assunzione del lavoratore” (Corte app. Firenze 30/5/2005, Pres. Bartolomei, in Riv. It. Dir. Lav. 2006, 111). Infatti il giudice deve poter “accertarne la corrispondenza alla realtà fattuale ed escludere di talché la loro pretestuosità e arbitrarietà, sì da scongiurare ogni abuso o intento fraudolento del datore di lavoro“. (Trib. Piacenza 27/9/2006 Giud. Picciau, in Lav. nelle P.A. 2007, 577). Ragion per cui non sono legittime “generiche indicazioni circa la sussistenza di indifferenziate esigenze generali“, che non consentirebbero di accertare “l’ effettiva ricollegabilità della singola assunzione a termine alla causa espressa e dichiarata nel contratto” (Trib. Milano 9/10/2006, est. Peragallo, in D&L 2007, 123).

Tuttavia la specificazione delle ragioni giustificatrici del termine può risultare anche indirettamente nel contratto di lavoro e da esso per relationem in altri testi scritti accessibili alle parti” (Cass. 13/5/2010 n. 11625, Pres. De Luca est. Napoletano, in Lav. Nella giur. 2010, 726).

L’esigenza di specificazione di tali ragioni è oggi ancor piè stringente, tenuto conto del fatto che non è piè possibile, come in passato, far riferimento ad una delle specifiche ipotesi elencate dalla legge, diventando “essenziale conoscere con certezza la causa giustificativa concreta”. (Trib. Milano 8/5/2009, d.ssa Porcelli, in Lav. nella giur. 2009, 844).

L’ onere di indicare in modo specifico le ragioni che hanno determinato la necessità di apporre un termine finale al rapporto di lavoro non può ritenersi assolto attraverso un generico richiamo a esigenze di carattere tecnico e produttivo esistenti a livello nazionale; ne segue la nullità parziale del contratto ai sensi dell’ Art. 1419 c.c., 2° comma, e la conversione del rapporto a tempo indeterminato”. (Corte app. Caltanissetta 23/1/2008, Pres. Vullo est. Occhipinti, in D&L 2008, 54). E stato ad esempio ritenuto dalla Giurisprudenza di merito nullo il termine apposto ad un contratto in quanto niente “era stato dedotto in ordine agli effetti del notorio aumento del flusso postale nel periodo natalizio sul centro in cui era stato addetto il lavoratore, anche in relazione al numero complessivo di contratti a termine stipulati per far fronte a quella esigenza)” (Trib. Milano 13/11/2003, est. Mascarello, in D&L 2003, 937).

Le ragioni che stanno alla base della apposizione del termine devono essere infatti indicate contestualmente nel contratto stipulato e devono rispondere a requisiti di oggettività, in modo da essere riscontrabili al momento della assunzione e verificabili anche in seguito” (Trib. Ravenna 7/10/2003, est. Mazzini, in lav. nella giur. 2004, 1285). Per questa ragione è stata dichiarata “illegittima l’ apposizione del termine giustificato, a seguito dell’ entrata in vigore del D. Lgs. 6/9/01 n. 368, dalla necessità di sperimentare l’ internalizzazione di un servizio prima appaltato all’ esterno, in quanto le ragioni organizzative di cui all’ Art. 1 del D. Lgs. Citato devono attenere esclusivamente ad elementi oggettivi, senza poter riguardare risorse umane o il mero apporto di prestazioni personali” (Trib. Milano 18/7/2003, ord., est. Chiavassa, in D&L 2003, 937).

Alla luce delle suindicate pronunce, si deve concludere nel senso dell’ illegittimità del generico riferimento alla intensificazione dell’attività (Trib. Milano 10/10/2007, est. Porcelli, in D&L 2008, 152) o alla “maggiore richiesta di servizi” e a necessità collegate al “periodo feriale” e al fine di scongiurare il rischio di una declaratoria di illegittimità del termine sarebbe utile indicare quali servizi sarebbero stati acquisiti, in relazione ai quali non sarebbe stato sufficiente il personale già in forza. (Trib. Milano 25/11/2004, ord., est. Atanasio, in D&L 2005, 152) o alla sola esistenza di una commessa temporanea, non sufficiente a chiarire il motivo produttivo per cui il datore di lavoro possa legittimamente derogare alla regola del contratto a tempo indeterminato, non avendo riferito nulla in rapporto a organici esistenti e a eventuali necessità sopravvenute” (Trib. Milano 20/7/2009, est. Mariani, in D&L 2009, 687).

Ed ancora : “Qualora la causale di un contratto a termine sia indicata con la locuzione “incremento dell’ attività produttiva con scadenze indifferibili nel tempo”, il datore di lavoro ha l’ onere di dimostrare non solo l’ incremento di attività, ma anche l’ indifferibilità della scadenza; in mancanza il contratto deve ritenersi convertito a tempo indeterminato” (Trib. Monza 6/10/2009, est. Dani, in D&L 2009, 978).

Le uniche ipotesi in cui non è richiesta la specificazione delle ragioni giustificatrici sono quelle che si riferiscono alle assunzioni di disabili, infatti: “l’Art. 11 L. 12/3/99 n. 68, prevedendo l’ assunzione a termine di disabili in esecuzione di convenzioni stipulate con la Provincia e finalizzate a incentivare l’ inserimento lavorativo dei disabili, rappresenta una disciplina speciale e prevalente rispetto alle norme di cui al D. Lgs. 6/9/01 n. 368, per cui non vi è la necessità di specificare nel contratto le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo e sostitutivo previste dall’ Art. 1 D. Lgs. 6/9/01 n. 368″ (Trib. Milano 14/9/2007, est. Sala, in D&L 2008, 139) e invalidi, infatti “in caso di assunzione di invalidi, la forma scritta della convenzione ex Art. 11 L. 12/3/99 n. 68, nonché della richiesta e del nullaosta all’ assunzione, soddisfa il requisito previsto dall’ Art. 1, 2° comma, D. Lgs. 6/9/01 n. 368 della specificazione per iscritto delle cause giustificative dell’ assunzione a termine“. (Trib. Milano 14/9/2007, est. Sala, in D&L 2008, 139).

La Giurisprudenza ha ammesso la possibilità che la motivazione del contratto a termine faccia riferimento ad una pluralità di causali. In questo senso la Corte d’Appello di Milano ha affermato che: “L’indicazione nel contratto di una duplice causale legittimante l’assunzione a tempo determinato non può di per sé comportare la nullità del contratto, specie allorché risulti confermato dalle prove assunte che sussisteva effettivamente uno dei presupposti indicati nel contratto – nella specie la sostituzione di lavoratori in ferie. In tale ipotesi, tuttavia, deve ritenersi la nullità dell’assunzione a termine allorché risulti che di fatto il lavoratore è stato incaricato anche di mansioni diverse da quelle di semplice sostituzione del personale in ferie” (Corte d’appello Milano 9/11/2004, Pres. e Rel. Castellini, in lav. nella giur. 2005), sempre ché non sia “stereotipata e ripetitiva” (Trib. Milano 31/10/2003, est. Martello, in D&L 2003, 936) e sempre chè, le ragioni, da valutarsi necessariamente in maniera congiunta e non alternativa, non siano l’ una generica, l’ altra non provata (Trib. Milano 15/10/2003, est. Sala, in D&L 2003, 937).

In sostanza la giurisprudenza richiede che l’ indicazione delle ragioni di apposizione del termine siano non solo specifiche ma anche realistiche e corrispondenti alla concreta esigenza per cui è opportuno che, in caso di assunzione a tempo determinato, vi sia indicazione piè precisa possibile dei motivi di apposizione del termine con riferimento all’ esigenza produttiva, che deve essere temporanea, che giustifica il ricorso al contratto a tempo determinato.

Una particolare tipologia di contratto a tempo determinato è quella per sostituzione di lavoratori assenti. La precedente legge 230/1962, all’ articolo 1 comma 2 lettera b), prevedeva espressamente la facoltà di assunzione a termine “per sostituire lavoratori assenti e per i quali sussiste il diritto alla conservazione del posto, sempre che nel contratto di lavoro a termine sia indicato il nome del lavoratore sostituito e la causa della sua sostituzione”. La nuova disciplina non prevede piè espressamente l’ onere di indicazione specifica del lavoratore sostituito e delle ragioni dell’ assenza ma le esigenze di specificità nell’ indicazione dei motivi di apposizione del termine consigliano di indicare, nelle lettere di assunzione a tempo determinato il nominativo e la ragione di assenza del lavoratore che viene sostituito. Solo nel caso di sostituzione di una pluralità di lavoratori assenti per ferie un certo orientamento giurisprudenziale esclude la necessità di indicazione dei nominativi ma ragioni di prudenza suggeriscono, ove possibile, di indicare anche in questo caso il nominativo dei lavoratori sostituiti.

La Giurisprudenza si è infatti espressa così: “In tema di contratto di lavoro stipulato a termine per ragioni di carattere sostitutivo di altri dipendenti, nelle situazioni aziendali complesse, nelle quali non sia possibile il riferimento sostitutivo ad un singolo lavoratore, l’ indicazione delle ragioni sostitutive – cui la legge subordina la legittimità dell’ apposizione del termine – è congrua se l’ enunciazione dell’ esigenza di sostituire lavoratori assenti – da sola insufficiente ad assolvere l’ onere di specificazione delle ragioni stesse – risulti integrata dall’ indicazione di elementi ulteriori (quali l’ ambito territoriale di riferimento, il luogo della prestazione lavorativa, le mansioni dei lavoratori da sostituire, il diritto degli stessi alla conservazione del posto di lavoro ) che consentano di determinare il numero dei lavoratori da sostituire, ancorché non identificati nominativamente, ferma restando in ogni caso la verificabilità circa la sussistenza effettiva del presupposto di legittimità prospettato” (Cass. Civ. 26 gennaio 2010 n. 1576 in www.dejure.it).

    1. Sulle ragioni di carattere sostitutivo

 

La circolare ministeriale piè volte citata ha invece fornito un’ interpretazione lata delle ragioni sostitutive affermando che: “L’ ampiezza della formula utilizzata legittima l’ apposizione di un termine al contratto di lavoro indipendentemente dal fatto che il personale da sostituire si sia assentato per ragioni imprevedibili e non programmabili e che, d’ altra parte, il sostituito abbia un diritto legale, e non convenzionale, alla conservazione del posto di lavoro. In proposito, si rileva che il contratto a termine stipulato per questa motivazione non è assoggettato ai limiti quantitativi che verranno eventualmente introdotti dalla autonomia collettiva” (Art. 10, settimo comma, lett. b).

Resta da segnalare, infine, che nell’ assunzione per ragioni sostitutive, l’ apposizione del termine può risultare direttamente ed indirettamente, cioè, anche con un mero rinvio al momento del futuro rientro del lavoratore da sostituire.

Interessante è poi l’ affermazione secondo la quale il termine finale può essere indicato non a data certa, ma facendo riferimento al momento del futuro rientro del lavoratore da sostituire. Ad esempio in caso di assunzione in sostituzione di maternità il termine finale potrà essere indicato con la dizione: “all’ effettivo rientro della signora…… assente per maternità”.

    1. Sull’indicazione del termine finale

Quando indicato al paragrafo precedente sull’ interpretazione ministeriale che consente l’ indicazione del termine finale con un rinvio ad un evento futuro ma non già con data prestabilita viene ribadito dalla stessa circolare che chiarisce: “poiché l’ indicazione scritta del termine e delle ragioni che lo legittimano è richiesta “ad substantiam”, la mancanza di detta forma comporta la nullità della clausola relativa al termine, con la conseguenza che il contratto si considera a tempo indeterminato (…).In ogni caso, il termine finale del contratto può risultare direttamente o indirettamente, con ciò confermando il prevalente orientamento giurisprudenziale per il quale è possibile stabilire un termine finale “certus an sed incertus quando” (in circolare al punto 4).

Anche la giurisprudenza ha riconosciuto la facoltà di indicare come termine finale una specifica condizione: “In merito alla stipulazione dei contratti di lavoro a termine, la determinazione del termine di durata, può coincidere o con il verificarsi di una condizione ovvero con il sopravvenire di una scadenza prestabilita. Pertanto, la cessazione legale del rapporto contrattuale sarà condizionata, come nel caso di specie, o dal verificarsi dell’ evento oppure dalla data di scadenza pattuita” (Trib. Cassino 9 ottobre 2008 n. 1244; cfr. Cass. 11/07/1998 n. 6784 in Giust. Civ. Mass. 1998, 1512 in www.dejure.it).

In concreto quello che la giurisprudenza indica come il “verificarsi dell’ evento” coincide con quel fatto futuro ( ad esempio il rientro del lavoratore sostituito) di cui vi è la certezza del verificarsi ma non è ancora determinabile il momento preciso. In tal caso come si è già detto l’ indicazione del termine finale sarà senza una data ma con il riferimento all’ evento futuro (rientro del sostituito).

    1. Sulla prosecuzione dopo la scadenza del termine

 

Il Legislatore concede un c.d. “periodo di tolleranza”, ovvero nel caso in cui il rapporto di lavoro continui dopo la scadenza del termine inizialmente fissato o successivamente prorogato, il datore di lavoro deve corrispondere al lavoratore, per ogni giorno di continuazione, una maggiorazione della retribuzione. Tuttavia, nel caso in cui il rapporto prosegua per piè di venti o di trenta giorni, rispettivamente, per i contratti di durata inferiore o superiore a sei mesi, il contratto si considererà a tempo indeterminato dalla scadenza dei predetti termini.

    1. Sulla successione di contratti a termine: la proroga

 

Il contratto a termine può essere prorogato nel limite individuato dal legislatore di una sola proroga per un massimo complessivo di 36 mesi. La nota circolare ha chiarito che: “Il contratto di lavoro a termine può essere prorogato, secondo quanto stabilito dall’ Art. 4, anche per un periodo largamente superiore a quello iniziale, ferma restando la durata complessiva di tre anni ed eccezion fatta per i contratti di breve durata ex Art. 10, ottavo comma. Premesso che l’ istituto della proroga come quello del rinnovo già risultava normato nell’ ordinamento in vista di approntare misure di prevenzione degli abusi, si osserva che l’ attualizzazione della disciplina, mentre conferma la possibilità di un indefinito numero di rinnovi sempreché separati dagli intervalli temporali fissati dall’ Art. 5, terzo comma, e ne sussistano i presupposti, ribadisce il principio dell’ unica proroga senza tuttavia circoscriverne la durata, purché – si ribadisce – nel complesso inferiore a tre anni. Con ciò stesso, il legislatore esprime un ulteriore segnale circa l’ accezione elastica dell’ istituto in commento. Quanto alla giustificazione della proroga vi è infine da dire che le ragioni oggettive indicate dal legislatore sono prive del carattere della imprevedibilità e/o eccezionalità e/o straordinarietà.

È, dunque, da ritenersi superata quella previgente disposizione che subordinava la legittimità della proroga alla sussistenza di esigenze contingenti ed imprevedibili. In particolare, fermo restando che la proroga deve riferirsi alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato stipulato a tempo determinato, ciò implica la possibilità che le ragioni giustificatrici della proroga, oltre che prevedibili sin dal momento della prima assunzione, siano anche del tutto diverse da quelle che hanno determinato la stipulazione del contratto a termine purché riconducibili a ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo di cui all’ Art. 1 del decreto”.

Nello stesso senso la Giurisprudenza: “le “ragioni oggettive” che, ai sensi dell’Art. 4 D. Lgs. 6/9/01 n. 368, giustificano la proroga di un contratto a tempo determinato devono essere intese nel senso di circostanze sopravvenute rispetto al momento della originaria stipulazione del contratto. Deve pertanto ritenersi nulla una proroga motivata da ragioni già presenti ab initio, con conseguente conversione del rapporto a tempo indeterminato (nella specie la durata del rapporto era stata inizialmente determinata in un periodo inferiore all’aspettativa obbligatoria per maternità della lavoratrice sostituita e, alla scadenza, il contratto era stato prorogato motivando con il mero protrarsi della assenza)”(Trib. Milano 31/3/2006, est. Ravazzoni, in D&L 2006, 454).

Quanto alle modalità della proroga, il decreto n. 368 richiede anche il necessario consenso del lavoratore, per la validità ed efficacia del quale non necessaria la forma scritta (Cass. 23 novembre 1988, n. 6305 in www.dejure.it).

In sostanza è consentita la proroga solo in presenza di un evento che sopravvenga durante o al termine del rapporto a tempo determinato e che risulti imprevedibile al momento della instaurazione del rapporto a termine; ad esempio in caso di assunzione di un lavoratore per l’ esecuzione di una specifica commessa durante l’ esecuzione della quale pervenga al datore di lavoro una nuova commessa.

    1. Sulla risoluzione anticipata

 

In tema di risoluzione anticipata del contratto a termine la giurisprudenza ha affermato che: “Il rapporto di lavoro a tempo determinato, al di fuori del recesso per giusta causa di cui all’ Art. 2119 c.c., può essere risolto anticipatamente non già per un giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’ Art. 3 della L. n. 604 del 1966, ma soltanto in presenza delle ipotesi di risoluzione del contratto previste dagli Artt. 1453 ss. c.c. Ne consegue che, qualora il datore di lavoro proceda a una riorganizzazione del proprio assetto produttivo, non può avvalersi di tale fatto per risolvere in anticipo un contratto di lavoro a tempo determinato” (Cass. 10/2/2009 n. 3276, Pres. ed est. Ianniruberto, in lav. nella giur. 2009, 627, e in lav. nella giur. 2009, con commento di Marianna Pulice, 807, in Orient. Giur. Lav. 210). “Il rapporto di lavoro a tempo determinato, al di fuori del recesso per giusta causa di cui all’ Art. 2119 c.c., può essere risolto anticipatamente non già per un giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’ Art. 3 della L. n. 604 del 1966, ma soltanto in presenza delle ipotesi di risoluzione del contratto previste dagli Artt. 1453 ss. c.c. Ne consegue che, qualora il datore di lavoro proceda a una riorganizzazione del proprio assetto produttivo, non può avvalersi di tale fatto per risolvere in anticipo un contratto di lavoro a tempo determinato” (Cass. 10/2/2009 n. 3276, Pres. ed est. Ianniruberto, in lav. nella giur. 2009, 627).

Il dipendente a tempo determinato illegittimamente licenziato in difetto di giusta causa (non potendosi ritenere tale la situazione di transeunte difficoltà economica del datore di lavoro) ha diritto non alla reintegrazione nel posto di lavoro, ma al risarcimento del danno, che può legittimamente quantificarsi, in via equitativa, sulla base delle retribuzioni che gli sarebbero spettate fino alla scadenza del termine; né da esso può essere legittimamente dedotto, a titolo di aliunde perceptum, quanto dal lavoratore percepito a seguito di altra sua occupazione, qualora risulti la non esclusività della prestazione illegittimamente interrotta per volontà unilaterale del datore di lavoro” (Cass. 1/6/2005 n. 11692, Pres. Ciciretti Rel. Figurelli, in Dir. e Prat. lav. 2006, 30).

    1. Sugli intervalli non lavorati

 

Può accadere che un lavoratore venga ripetutamente assunto a termine da uno stesso datore con intervalli di tempo tra un rapporto e l’ altro. In tal caso non spetta la retribuzione per i periodi non lavorati anche se i molteplici rapporti a termine vengono trasformati in un unico rapporto a tempo indeterminato. Giurisprudenza ormai consolidata afferma che: “Nel caso di trasformazione in unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato di piè contratti a termine succedutisi tra le stesse parti, per effetto dell’ elusione delle disposizioni imperative di legge, non sussiste, per gli intervalli ” non lavorati ” tra l’ uno e l’ altro rapporto, il diritto del lavoratore alla retribuzione, al corrispondente rateo di tredicesima mensilità e al compenso per ferie non godute, mancando una deroga al principio generale secondo cui la maturazione di tali diritti presuppone la prestazione lavorativa, e considerato che la suddetta riunificazione in un solo rapporto, operando “ex post”, non incide sulla mancanza di un’ effettiva prestazione negli spazi temporali tra contratti a tempo determinato”(Trib. Sciacca, 14 marzo 2006, in Il merito 2007,4,41; Cass. Civ. 3 marzo 2006 n 4677, in Giust. Civ. Mass. 2006,3; Cass. Civ. 27 ottobre 2005, in Giust. Civ. Mass. 2005, 9).

    1. Sulla risoluzione e sul consenso del lavoratore

 

La Giurisprudenza ha affermato inoltre che: “Il contratto di lavoro inizialmente a tempo determinato, impugnato per illegittima apposizione del termine, può ritenersi risolto per mutuo consenso quando, dal comportamento delle parti, protrattosi per un rilevante periodo di tempo, si evince una dichiarazione risolutiva della parte, anche per fatti concludenti. La valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto resta affidata al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità, qualora congruamente motivate sul piano logico-giuridico. (Nella specie, la Corte ha confermato la sentenza di appello che ha ritenuto provata, sulla base di elementi oggettivi, una fattispecie negoziale di risoluzione consensuale, valutando come significativi: la limitata durata del rapporto di lavoro contestato, il lungo intervallo temporale tra la cessazione del rapporto di lavoro a termine e l’ azione giudiziaria, l’ immediata assunzione del lavoratore con contratto di lavoro a tempo indeterminato presso un’ azienda dello stesso settore merceologico della precedente” (Cass. 6/7/2008 n. 15264, Pres. Mercurio est. Balletti, in Riv. It. Dir. Lav. 2008, 158). In particolare “l’ intervallo fra l’ estromissione dal lavoro e la proposizione dell’ azione da un lato e, dall’ altro, la prestazione da parte del lavoratore di attività per terzi non possono legittimamente combinarsi così da inferirne una volontà dismissiva del rapporto. L’ inerzia, infatti, non ha alcun valore sintomatico, mentre la risoluzione postula una chiara volontà del lavoratore che non esperisca l’ azione nella consapevolezza (fatta palese, a es., dall’ offerta della prestazione) della posizione giuridica cui ha rinunciato” (Corte app. Catania 6/3/2007, Pres. Pagano est. D’ Allura, in Riv. It. Dir. Lav. 2007, 933).

Il silenzio non ha alcun valore giuridico nell’ ordinamento, se non quando per legge o contratto sia previsto che debba darsi al medesimo un significato determinato, per cui, cessata di fatto la prestazione lavorativa con la scadenza del termine illegittimamente apposto, il lavoratore non ha l’ onere di comunicare la volontà di continuare a essere parte del rapporto a tempo indeterminato, né tale volontà può essere esclusa solo per la durata dell’ intervallo intercorso dalla scadenza del termine, nel qual caso il datore di lavoro deve provare che il lavoratore, pur nella consapevolezza dell’ illegittimità della clausola di apposizione del termine, abbia deciso di mantenere il silenzio inducendo così nella controparte l’ affidamento di buona fede di una sua adesione alla cessazione definitiva del rapporto” (Trib. Milano 10/8/2007, est. Ravazzoni, in D&L 2007, 1068).


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