Divieto di licenziamento per Covid-19 – Due orientamenti opposti: la normativa comunitaria ne limita l’utilizzabilità – La giurisprudenza italiana ne estende l’ambito di applicazione ai dirigenti | ADLABOR | ISPER HR Review

La normativa comunitaria sancisce e tutela il diritto alla libertà d’impresa, ex art. 16 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.[1] Tra le prerogative di questo diritto vi è la facoltà del datore di lavoro di riorganizzare il proprio assetto aziendale anche attraverso la rimodulazione della forza lavoro e conseguentemente di effettuare dei licenziamenti.

Una recente pronunzia del Tribunale di Roma, invece, amplia il campo di applicazione del divieto anche nei confronti del dirigente.

Per far fronte al periodo emergenziale Covid-19, la Spagna, ma anche l’Italia, tramite appositi decreti, hanno attuato, e prorogato più volte, il divieto di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, congelando sostanzialmente la facoltà, per le aziende, di ristrutturare il loro assetto produttivo. La restrizione è stata giustificata dal carattere eccezionale e temporaneo del divieto, collegata con il periodo emergenziale.

In Italia si è discusso a lungo sulla legittimità, anche costituzionale, del divieto di licenziamento in considerazione della libertà di impresa sancita dall’articolo 41 della Carta Costituzionale. Non risulta che, allo stato, la questione della costituzionalità, o della non conformità alla normativa comunitaria, del divieto di licenziamento sia stata sollevata nei Tribunali italiani.

In Spagna il Tribunale di Barcellona, con una pronunzia del 15 dicembre 2020, (Juzgado de lo social n.1 de Barcelona, sentencia 283/ 2020), ha ritenuto che la reiterazione del divieto di licenziamento per ragioni economiche imposto con l’articolo 2 del Real Decreto– Ley n.9 del 27 marzo 2020 [2] (simile all’art.46 del nostro Decreto Cura Italia, D.L. n. 18/2020 convertito in Legge n. 27/2020, che vieta i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo) sia contrario al diritto dell’Unione Europea.

Il Tribunale ha sostenuto che il divieto di licenziamento dovuto a ragioni economiche, organizzative, tecniche e produttive possa essere giustificato in virtù dello stato emergenziale, ma che la continua reiterazione della limitazione per un tempo prolungato non sia legittima (anche se attuata per fini nobili, quali il ripristino dell’attività economica e la salvaguardia dell’occupazione), in quanto non idonea a realizzare i fini per i quali è stato imposto il divieto e sia contraria al diritto alla libertà di impresa che è sancitonella Costituzione spagnola (articolo38) ed ugualmente tutelato e garantito dall’articolo 16 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.

Infatti, secondo il Tribunale di Barcellona tale diritto deve essere declinato come diritto non solo ad intraprendere un’attività di impresa, ma anche come un diritto a sviluppare e dirigere tale impresa. Sulla base di queste due ultime declinazioni il Tribunale ha ritenuto il suddetto divieto di licenziamento, prorogato numerose volte, contrario al quadro normativo europeo. Tra le prerogative del datore di lavoro, nello sviluppare ed organizzare l’attività d’impresa, deve, infatti, essere considerato il diritto alla riorganizzazione aziendale, quindi anche al licenziamento. Tale diritto secondo il Tribunale non deve esserelimitato per troppo tempo in ragione dello stato emergenziale. La perdita del carattere temporaneo ed eccezionale di tale divieto deve così portare alla disapplicazione dello stesso.

N.B

Il Tribunale di Barcellona ha chiarito, nella sentenza, la non necessità di attuare un rinvio pregiudiziale sull’interpretazione delle norme comunitarie alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (art.19 TUE e art. 267 TFUE), sostenendo che la sentenza emessa potrebbe essere appellata e giustificando ulteriormente le sue conclusioni facendo riferimento alla dottrina dell’acte clair (il giudice nazionale non deve attuare il rinvio alla CGUE se le norme comunitarie hanno un senso chiaro e univoco).

Anche in Italia il divieto di licenziamento è stato prorogato numerose volte, analogamente al quadro normativo emergenziale spagnolo. L’Italia fa parte dell’Unione Europea, perciò garantisce e attua i diritti e le disposizioni comunitarie. Inoltre la libertà d’impresa è sancita e garantita anche dalla Costituzione Italiana (art 41).

La sentenza spagnola potrebbe costituire un precedente determinante anche per altre corti europee, ed in particolare italiane, portandole alla disapplicazione immediata del divieto di licenziamento sulla base del diritto europeo, andando così alegittimarei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo nel periodo pandemico Covid-19.

Nel nostro paese il divieto di licenziamento verrà a scadere il 31 marzo 2021 anche se sta emergendo un orientamento volto a prorogare, magari non in maniera indiscriminata, tale limitazione. Però le statistiche ci dicono che il divieto di licenziamento per ragioni economiche ha inciso molto relativamente sulla perdita dei posti di lavoro portando così a ritenere che lo strumento, seppur idoneo in un primo periodo a tenere in stand-by una situazione critica, traguardato in un arco temporale prolungato non rappresenta il modo più idoneo per ovviare agli effetti della situazione pandemica sul mondo del lavoro. Appare quindi, a nostro avviso, corretta la pronunzia della corte spagnola che ha evidenziato l’illegittimità di una reiterazione del divieto. In Italia il congelamento dei licenziamenti dura ormai da un anno, per cui non appare più giustificabile un suo prolungamento, ma è auspicabile l’adozione di strumenti alternativi e, soprattutto, più efficaci e meno incidenti sulla libertà di impresa.

Tuttavia recentemente l’ambito di applicazione del divieto di licenziamento “Covid-19” per motivi economici, introdotto nell’ordinamento italiano dall’art. 46 del D.L. 18/2020 e s.m., è stato inaspettatamente ampliato anche nei confronti del licenziamento dei dirigenti da una recentissima pronunzia del Tribunale di Roma Sezione Lavoro (Ord. 26 febbraio 2021, Est. Conte).

Il divieto temporaneo di intimare licenziamenti per motivi economici previsto per la prima volta dall’art. 46 del DL 18/2020 e successivamente modificato e integrato dalla normativa emergenziale susseguitasi nel 2020, non dovrebbe essere applicabile ai dirigenti, in base perlomeno ad un’interpretazione letterale della norma istitutiva del divieto in questione.

Detta esclusione della categoria dei dirigenti è desumibile dal fatto che la norma contiene un esplicito riferimento ai licenziamenti per motivi economici disciplinati dall’articolo 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604 che è notoriamente applicabile ai soli operai, impiegati e quadri.

Inoltre la ratio della misura emergenziale del divieto di licenziamento introdotto “in epoca Covid-19”, trae origine dal fatto che la compressione della libertà di impresa sancita dall’art. 41 Cost. è bilanciata dall’introduzione di ammortizzatori sociali ad hoc e legati al perdurare della situazione pandemica.

In sostanza, a fronte del divieto di licenziamento, i datori di lavoro hanno potuto utilizzare la cassa integrazione, con la specifica motivazione covid 19, per mantenere in forza i dipendenti, ancorché questi fossero in esubero.

Ma per quanto attiene la categoria dei dirigenti questi sono esclusi dalla speciale disciplina in tema di ammortizzatori sociali ordinari ed in deroga prevista originariamente dal DL 18/2020 e poi integrata/modificata dalle norme successive: la normativa emergenziale citata non deroga infatti all’art. 1 del D.lgs. n. 148/2015 che in materia di ammortizzatori sociali esclude espressamente i dirigenti dalle categorie di lavoratori interessati.

Tale circostanza sarebbe sufficiente per ritenere non applicabile ai dirigenti il divieto di licenziamento, in quanto non compensato da adeguati ammortizzatori sociali.

Tuttavia, il Tribunale di Roma con l’Ordinanza del 26 febbraio 2021 ha ritenuto che il divieto di licenziamento sia da interpretare in termini oggettivi (il motivo economico) e non in funzione dei soggetti interessati, comprendendo quindi anche i dirigenti, che hanno una tutela specifica solo per i licenziamenti collettivi, mentre hanno unicamente una tutela contrattuale per i licenziamenti individuali.

La sentenza del Tribunale di Roma, secondo cui la violazione del divieto di licenziamento per gmo nei confronti del dirigente comporterebbe la “tutela reintegratoria piena” ex art. 18, comma 1, L. 300/1970, si fonda inoltre su un assunto di natura sistematica: il “blocco” dei licenziamenti trova infatti la propria ragion d’essere nel principio di solidarietà sociale e, quindi, nella volontà del Legislatore italiano di evitare che gli effetti della pandemia si riverberino esclusivamente sui lavoratori che, secondo l’interpretazione del Tribunale di Roma,  è però un’esigenza comune anche ai dirigenti tale da rendere applicabile anche a  loro il divieto di licenziamento. .
La pronunzia in questione, però, non tiene conto del fatto che gli specifici strumenti di protezione dei livelli occupazionali, introdotti dal nostro ordinamento attraverso l’estensione degli ammortizzatori sociali di pari passo con il divieto di licenziamento, non sono però  utilizzabili per i dirigenti con l’ovvia conseguenza che l’estensione a tale categoria del divieto di licenziamento si traduce in un vincolo economico significativo senza alcuna contropartita di carattere assistenziale.

Il dibattito sul perdurare del divieto di licenziamento, attualmente in scadenza alla data del 31 marzo 2021, diventa ancor più significativo con l’estensione dell’inibizione anche nei confronti di chi, come dirigenti, dovrebbe essere consapevole di non avere garanzie, se non economiche, di stabilità del posto di lavoro.

Interpretazione elaborata in collaborazione con ISPER HR Review del 4 marzo 2021

 

[1]Articolo 16 – Libertà d’impresa

È riconosciuta la libertà d’impresa, conformemente al diritto dell’Unione e alle legislazioni e prassi nazionali.

[2] Articolo 2. Misure straordinarie per la protezione del lavoro.

La forza maggiore e le cause economiche, tecniche, organizzative e produttive che rientrano nelle misure di sospensione dei contratti e riduzione dell’orario di lavoro previste dagli articoli 22 e 23 del Regio Decreto Legge 8/2020, del 17 marzo, non possono essere intese come giustificanti la risoluzione del contratto di lavoro o il licenziamento.


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