Tempi non lavorativi e retribuzione | ADLABOR

Aspetto essenziale del rapporto di lavoro subordinato è il sinallagma “prestazione lavorativa-retribuzione”. Indissolubilmente legato al concetto di prestazione lavorativa è poi l’orario di lavoro, definito dall’art. 1 del D.Lgs. 66/2003 come “qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni[1].

Vi sono però alcune fasi del rapporto di lavoro in cui non è facile comprendere se le tre condizioni indicate dal legislatore (essere al lavoro, essere a disposizione del datore di lavoro ed essere nell’esercizio dell’ attività lavorativa o delle funzioni) sono tutte soddisfatte contemporaneamente.

Nel tempo si è così determinato un notevole contenzioso giudiziario. Con le note che seguono cercheremo di fare il punto della situazione circa i seguenti aspetti particolari: il tempo di vestizione (c.d. “tempo tuta”); il tempo di attesa; il tempo di viaggio (in trasferta e dal domicilio del lavoratore al posto di lavoro); il tempo di reperibilità; ed, infine, i tempi relativi ad alcune particolari tipologie di pause.

 

Il tempo di vestizione

Tenendo sempre ben presenti le tre condizioni sopra indicate affinchè il tempo messo a disposizione del datore di lavoro dal lavoratore sia considerato orario di lavoro e come tale retribuito, ad un primo esame sembrerebbe che il tempo dedicato dal lavoratore ad indossare gli indumenti di lavoro (come, ad esempio: tute, abiti, divise, camici, dispositivi di protezione individuale) non possa essere fatto rientrare nel concetto di orario di lavoro, in quanto il lavoratore stesso non starebbe prestando alcuna attività lavorativa.

In assenza di precise e specifiche disposizioni di legge, occorrerà però distinguere:

  • se il lavoratore ha avuto in dotazione gli indumenti di lavoro e la possibilità di portarli al proprio domicilio, recandosi di conseguenza al lavoro già con gli indumenti indossati, il tempo impiegato per indossarli non è considerato orario di lavoro;
  • se, invece, il datore di lavoro ha imposto al lavoratore di indossare determinati indumenti dallo stesso datore forniti, con il vincolo però di tenerli sul posto di lavoro, la costante giurisprudenza, dopo aver precisando il concetto di etero direzione (“Ove sia data facoltà al lavoratore di scegliere il tempo e il luogo dove indossare la divisa stessa -anche presso la propria abitazione, prima di recarsi al lavoro- la relativa attività fa parte degli atti di diligenza preparatoria allo svolgimento dell’attività lavorativa, e come tale non deve essere retribuita, mentre se tale operazione è  diretta  dal  datore  di  lavoro,  che ne  disciplina  il  tempo  e il luogo di esecuzione, rientra  nel  lavoro effettivo e di conseguenza il tempo necessario deve essere retribuito[2]) ha ritenuto che il tempo necessario alla vestizione e svestizione rientri nel concetto di orario di lavoro, per cui, fermo restando l’obbligo retributivo, detto tempo andrà o detratto dal normale orario di lavoro giornaliero, oppure aggiunto ad esso prima dell’inizio del turno lavorativo e dopo il suo termine: “Va computato nell’orario di lavoro, con conseguente diritto alla retribuzione aggiuntiva, il tempo impiegato dal dipendente per la vestizione e la svestizione della divisa da lavoro ove tale operazione sia eterodiretta dal datore di lavoro, in quanto l’atto di indossare la divisa di infermiere, in quanto antecedente all’inizio della prestazione lavorativa e funzionale alla sua corretta esecuzione, deve essere inquadrato non tra le pause lavorative, bensì tra le attività propedeutiche all’esecuzione della prestazione. L’attività di assistenza presso una residenza per anziani, per sua natura, richiede infatti che la divisa sia necessariamente indossata e tolta, per ragioni di igiene, presso il luogo dì lavoro e non altrove”[3], nonchè “Rientra nell’orario di lavoro, con conseguente diritto alla retribuzione aggiuntiva, il tempo impiegato dal dipendente per la vestizione e la svestizione degli indumenti da lavoro (c.d. tempo-tuta), operazioni da effettuarsi all’interno dei locali aziendali ed entro i tempi prescritti dal datore di lavoro secondo uno schema obbligatorio, privo di spazi di discrezionalità per il dipendente e sanzionabile in via disciplinare.”[4]

In tale secondo caso sorge un problema: in assenza di disposizioni di legge o derivanti dalla contrattazione collettiva[5] od individuale, come considerare il tempo di vestizione ai fini retributivi: considerandolo cioè come orario ordinario o come orario straordinario? In assenza di tali discipline, non rimane che affidarsi ai giudici, i quali si sono però divisi, con due principali orientamenti: per il primo, la retribuzione deve essere quella prevista per il lavoro ordinario; per il secondo si può ritenere che se il “tempo-tuta” si aggiunge al normale orario di lavoro esso va considerato come orario di lavoro straordinario e come tale retribuito: “Laddove i lavoratori debbano lasciare in azienda i dispositivi di protezione e/o gli abiti da lavoro, siano obbligati ad indossarli in azienda e abbiano l’obbligo di dismetterli alla fine dell’orario, lasciandoli in azienda, salvo avere una specifica autorizzazione da parte dell’azienda per far uscire tali beni dall’azienda stessa, deve giungersi alla conclusione che gli indumenti debbano per disposizione aziendale essere indossati all’interno dello stabilimento nel luogo e nel momento individuato dal datore di lavoro a seconda della proprie esigenze organizzative…Ne consegue pertanto il diritto dei ricorrenti ad essere compensati, con applicazione della maggiorazione contrattualmente prevista per il lavoro straordinario, con incidenza di tali maggiori compensi sulla retribuzione dovuta per le ferie e la tredicesima.[6]

 

Il tempo di attesa

In taluni settori vi sono attività che prevedono la possibilità che il lavoratore non possa svolgere la prestazione lavorativa per motivi di organizzazione del lavoro legati agli orari di fornitura del servizio od al fatto che taluni lavoratori debbano attendere che altri (colleghi, clienti, fornitori) lo mettano in condizione di svolgerla. E’ il caso, ad esempio, dei lavoratori addetti alla ristorazione, nel settore alberghiero e dei pubblici esercizi, o di quelli addetti alla conduzione di automezzi da trasporto. Per i primi, la contrattazione collettiva ha previsto che la loro prestazione lavorativa di 8 ore giornaliere possa essere effettuata in due frazioni, ma all’interno di un periodo, detto “nastro orario”, ben più lungo, che può essere anche di 14 ore[7]. Laddove la contrattazione aziendale o territoriale (cui quella nazionale ha demandato un’eventuale disciplina più particolareggiata) non sia intervenuta diversamente, il tempo di attesa non lavorato all’interno del nastro orario riteniamo debba intendersi come non retribuito, anche se vi sono orientamenti giurisprudenziali opposti:“ Ai fini della misurazione dell’orario di lavoro, l’art. 1, comma 2, lett. a), del d.lgs. n. 66 del 2003, attribuisce un espresso e alternativo rilievo non solo al tempo della prestazione effettiva ma anche a quello della disponibilità del lavoratore e della sua presenza sui luoghi di lavoro; ne deriva che i tempi di attesa degli autisti, durante le operazioni di carico e scarico merci, vanno considerati di lavoro effettivo e come tali da retribuirsi.[8].

Per gli autisti di automezzi da trasporto vi è una disciplina legislativa specifica, il D.Lgs. 234/2007[9], che, all’art. 3, definisce il concetto di orario di lavoro per lo specifico settore dell’autotrasporto, ivi compresi i tempi di attesa, cioè “i periodi di tempo durante i quali il lavoratore mobile non può disporre liberamente del proprio tempo e deve rimanere sul posto di lavoro, pronto a svolgere il suo lavoro normale, occupato in compiti connessi all’attività di servizio, in particolare i periodi di attesa per carico e scarico, qualora non se ne conosca in anticipo la durata probabile, vale a dire o prima della partenza o poco prima dell’inizio effettivo del periodo considerato, oppure conformemente alle condizioni generali negoziate tra le parti sociali”, tempi considerati rientranti nell’orario di lavoro e come tali retribuiti.

A maggior ragione, laddove invece il datore di lavoro abbia disposto che, durante tali tempi di attesa, il lavoratore debba svolgere altre mansioni, non v’è dubbio che tali tempi debbano essere retribuiti, anche con le maggiorazioni per lavoro straordinario se con essi si sono superati i limiti giornalieri e/o settimanali del normale orario di lavoro: “Spettano i compensi per lavoro straordinario al dipendente con qualifica di autista il cui orario di lavoro abbia complessivamente oltrepassato i limiti di durata fissati dalla legge, non potendo ritenersi discontinua, con conseguente disapplicazione del vincolo d’orario, l’attività lavorativa nel caso in cui, come nella specie, sia accertato che alle mansioni di autista si siano sommati ulteriori compiti accessori svolti all’interno dell’azienda.”[10]

 

Il tempo di viaggio

Per “tempo di viaggio” si intende generalmente quello trascorso dal lavoratore per  recarsi sul luogo dove dovrà prestare la sua attività lavorativa.

Ai nostri fini, dobbiamo prendere in considerazione due ipotesi:

  • il tempo di viaggio necessario a raggiungere dalla propria sede di lavoro (o dal proprio domicilio) il luogo dove dovrà prestare la sua attività lavorativa (e viceversa), ove questo non costituisca la normale sede di lavoro: ci si riferisce in tale ipotesi ai tempi di viaggio in occasione di trasferte o missioni per le quali il lavoratore dovrà prestare la propria attività lavorativa[11]. In tal caso, se i tempi di viaggio sono all’interno del normale orario di lavoro, esse andranno remunerati con la normale retribuzione. Se, invece, i tempi di viaggio sono in tutto o in parte al di fuori del normale orario di lavoro, in teoria essi non andrebbero retribuiti, in base all’interpretazione letterale dell’art. 5 del R.D 1955/1923[12] (“Non si considerano come lavoro effettivo:….2) il tempo impiegato per recarsi al posto di lavoro.”), come richiamato dall’art. 8 del D.Lgs. 66/2003[13], interpretazione condivisa da un orientamento giurisprudenziale per il quale, in assenza di specifiche discipline contrattuali collettive: “…il tempo impiegato giornalmente per raggiungere la sede di lavoro durante il periodo della trasferta non può considerarsi come impiegato nell’esplicazione dell’attività lavorativa vera e propria, non facendo parte del lavoro effettivo, e non si somma quindi al normale orario di lavoro, così da essere qualificato come lavoro straordinario, tanto più che l’indennità di trasferta è in parte diretta a compensare il disagio psicofisico e materiale dato dalla faticosità degli spostamenti suindicati”.[14] A tale orientamento se ne è però contrapposto un altro, più recente, che ritiene invece come “Il tempo per raggiungere il luogo di lavoro rientra nell’attività lavorativa vera e propria (e va, quindi, sommato al normale orario di lavoro come straordinario) allorché lo spostamento sia funzionale rispetto alla prestazione; in particolare, sussiste il carattere di funzionalità nei casi in cui il dipendente, obbligato a presentarsi presso la sede aziendale, sia poi di volta in volta destinato in diverse località per svolgervi la sua prestazione lavorativa”.[15] Di quest’ultima opinione è anche la Corte di Giustizia europea che, con una recente sentenza, riferita però ai lavoratori cosiddetti “itineranti” o “nomadi”, ha stabilito che “L’articolo 2, punto 1, della direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, deve essere interpretato nel senso che per i lavoratori che non hanno un luogo di lavoro fisso o abituale, costituisce «orario di lavoro», ai sensi di tale disposizione, il tempo di spostamento che tali lavoratori impiegano per gli spostamenti quotidiani tra il loro domicilio ed i luoghi in cui si trovano il primo e l’ultimo cliente indicati dal loro datore di lavoro”.[16]

Questo particolare aspetto del rapporto di lavoro è stato talvolta disciplinato dalla contrattazione collettiva nazionale, come il CCNL industria metalmeccanica che riconosce, la corresponsione di un importo pari all’85%  per le ore eccedenti il normale orario di lavoro, con esclusione  di  qualsiasi  maggiorazione[17] oppure il CCNL industria tessile e abbigliamento, che stabilisce, all’art. 49, come le ore di viaggio eccedenti l’orario normale di lavoro verranno retribuite con il 100%[18], oppure, ancora, il CCNL industria alimentare, che prevede per le ore di viaggio non coincidenti con il normale orario di lavoro un compenso pari al 65% della retribuzione ordinaria.[19].

A livello aziendale la contrattazione è ulteriormente intervenuta, prevedendo che, se durante i tempi di viaggio eccedenti il normale orario di lavoro il lavoratore svolge comunque attività lavorativa (ad esempio, utilizzando supporti telematici come telefoni cellulari, personal computers portatili e tablets), questa andrà retribuita come lavoro straordinario.

Va infine opportunamente precisato che la computabilità del tempo di viaggio non riguarda quei lavoratori (in particolare dirigenti, personale direttivo delle aziende o altri lavoratori aventi potere di decisione autonomo), esclusi dalla disciplina dell’orario (art. 2, D.Lgs. n. 66/2003) e per coloro ai quali non si applicano il limite massimo e quello normale di durata della prestazione lavorativa (art. 17). Sono comunque fatte salve  le  condizioni  di  miglior  favore  stabilite  dai contratti collettivi o da accordi e normative aziendali (ad esempio, talune aziende prevedono per i loro dirigenti riposi compensativi per il tempo di viaggio effettuato di sabato e domenica)

  • il tempo di viaggio necessario a raggiungere dal proprio domicilio la normale sede di lavoro (e viceversa): in via generale è escluso qualsiasi tipo di remunerazione, non essendo neppur lontanamente assimilabile all’orario di lavoro.

Vi è soltanto un’eccezione a questa regola: è il caso del tempo di viaggio necessario a raggiungere dal proprio domicilio il luogo di lavoro indicato dal datore in caso di chiamata durante un periodo di reperibilità. In tale ipotesi, in assenza di specifiche norme di legge, la contrattazione collettiva è talvolta intervenuta precisando, di volta in volta, che il tempo di viaggio va retribuito con una percentuale della retribuzione ordinaria (ad esempio, per i lavoratori dell’industria metalmeccanica[20], l’85% della retribuzione ordinaria) oppure con l’intera retribuzione ordinaria, oppure, ancora, con la retribuzione straordinaria (e, se del caso, con le maggiorazioni previste per il lavoro notturno e festivo).

Soltanto per completezza di informazione, va anche ricordato che il tempo di viaggio dal domicilio alla normale sede di lavoro e viceversa viene però considerato quasi come rientrante nel concetto di orario di lavoro ai fini della valutazione della sussistenza dell’infortunio in itinere (infortunio avvenuto durante il normale tragitto di andata e ritorno tra l’abitazione e il luogo di lavoro al di fuori del normale orario di lavoro), infortunio indennizzato dall’INAIL , nel rispetto di particolari condizioni (tra le quali citiamo il tipo di mezzo di trasporto, le finalità lavorative, la normalità del tragitto e la compatibilità degli orari).

 

Il tempo di reperibilità o di disponibilità.

Il tempo di reperibilità: chiarendo subito, a scanso di equivoci, che quando si parla di “reperibilità” ci si riferisce ad un istituto pattizio mediante il quale un lavoratore si obbliga, fuori del suo normale orario di lavoro, ad essere rintracciabile per poter intervenire in caso di necessità. Non va pertanto confusa con la reperibilità del lavoratore assente dal lavoro per malattia, disciplinata dall’art. 4 del DM 536700/1986[21].

Il ruolo e le competenze di taluni lavoratori (ad esempio: tecnici ospedalieri di laboratorio, manutentori di ascensori, autisti di mezzi di trasporto pubblico, ecc.) fanno sì che i loro datori di lavoro chiedano loro di essere disponibili a prestare attività in caso di necessità durante periodi non lavorativi (ad esempio, durante il riposo giornaliero o durante quello settimanale): è quella che viene definita “reperibilità”, cioè “una prestazione strumentale ed accessoria, qualitativamente diversa dalla prestazione di lavoro, consistente nell’obbligo del lavoratore di porsi in condizioni di essere prontamente rintracciato, in determinati archi temporali, in vista di un’eventuale successiva prestazione, cui corrisponde l’obbligo del datore di lavoro di riconoscere uno specifico compenso aggiuntivo alla normale retribuzione[22].

Non v’è dubbio che, in caso di chiamata e di successivo intervento durante tale periodo, il lavoratore abbia diritto alla retribuzione (in genere con le maggiorazioni previste dalla contrattazione collettiva per il lavoro straordinario e/o notturno e/o festivo).

Per il tempo di viaggio, abbiamo appena sopra precisato che, in assenza di norme di legge[23], la contrattazione collettiva è talvolta intervenuta precisando, di volta in volta, che il tempo di viaggio va retribuito con una percentuale della retribuzione ordinaria oppure con l’intera retribuzione ordinaria, oppure, ancora, con la retribuzione straordinaria /e, se del caso, con le maggiorazioni previste per il lavoro notturno e festivo).

Come considerare invece il tempo in cui il lavoratore è a disposizione per eventuali chiamate, ma non presta alcuna attività lavorativa?

Anche in questo caso, non esistendo alcuna specifica norma di legge, è talvolta intervenuta la contrattazione collettiva, come ad esempio il CCNL commercio e terziario Confcommercio[24], che ha stabilito l’obbligatorietà della reperibilità (“Nessun lavoratore potrà esimersi dall’effettuare, nei limiti previsti dalla legge, prestazioni ed interventi al di fuori del normale orario di lavoro nell’ambito dell’organizzazione predeterminata della reperibilità, salvo giustificati motivi individuali di impedimento”) riconoscendo per il tempo di attesa durante la reperibilità un’indennità (“Al personale interessato è riconosciuto il seguente trattamento economico:- euro 7,75 per ogni giornata feriale di reperibilità; – euro 10,33 per ogni giornata festiva, o di riposo legale, di reperibilità.”), mentre in caso di chiamata e successivo intervento, il relativo tempo sarà considerato e retribuito come lavoro straordinario (“Il tempo di effettivo intervento sarà retribuito come lavoro straordinario secondo la disciplina di cui al c.c.n.l. per i dipendenti del terziario, della distribuzione e servizi.”)

Altro esempio è quello del CCNL metalmeccanici[25], la cui disciplina, estremamente dettagliata, prevede molti interessanti aspetti, che esulano peraltro dallo specifico tema che stiamo trattando. Citeremo pertanto la disciplina riferita in particolare alla durata massima del periodo di reperibilità settimanale, che “non potrà eccedere le due settimane continuative su quattro e non dovrà comunque coinvolgere più di sei giorni continuativi” ed al compenso previsto per tale periodo, che avrà “natura retributiva… e sarà dovuto per il periodo nel quale il lavoratore è in attesa di un’eventuale chiamata da parte dell’azienda avente”. La norma contrattuale prevede inoltre che detto compenso sia diversificato  in base all’inquadramento del lavoratore ed alla durata della reperibilità, nonché rispetto a quello dovuto per i casi di intervento, per i quali  “le ore di intervento effettuato, ivi comprese quelle c.d. “da remoto”, rientrano nel computo dell’orario di lavoro, salvo il riconoscimento di riposi compensativi, e saranno compensate con le maggiorazioni previste dal presente contratto nazionale per il lavoro straordinario, notturno e festivo nelle sue varie articolazioni. Le prestazioni effettuate durante la reperibilità saranno comunque retribuite come lavoro straordinario e conteggiate come tali solo se aggiuntive al normale orario contrattuale

Per la giurisprudenza l’indennità di reperibilità costituisce una voce del tutto autonoma, specificamente riferita al tempo di “attesa” e non può considerarsi remunerata con la corresponsione della retribuzione per lavoro straordinario in caso di intervento su chiamata: “In tema di lavoro dei ferrovieri, è correttamente motivata la sentenza di merito che, nell’interpretare l’art. 46, comma 5, all. 7 c.c.n.l. di categoria del 1° gennaio 1990, di disciplina dell’indennità di chiamata, ha ritenuto che la funzione dell’ istituto della reperibilità sia quella di rendere possibile interventi di carattere eccezionale od occasionale, comunque al di fuori di ciò che era ordinariamente prevedibile, e che la ragione della previsione della relativa indennità risieda nel fatto che le parti collettive hanno voluto introdurla a compenso di qualcosa di più di ciò che veniva già retribuito con la maggiorazione per lavoro straordinario[26].

Va anche evidenziato come, sempre in assenza di discipline legislative o contrattuali collettive, la giurisprudenza abbia talora previsto per il datore di lavoro l’obbligo di riconoscere, in aggiunta all’indennità per il tempo di reperibilità, anche un periodo di riposo settimanale: “L’art. 17, comma 5, del c.c.n.l. 3 novembre 2005, per la dirigenza medico-veterinaria – che prevede il diritto del dirigente in reperibilità chiamato a rendere la prestazione a percepire, oltre alle indennità ivi stabilite, anche la maggiorazione per il lavoro straordinario, o, in alternativa, ad usufruire di un corrispondente recupero orario – non esclude che l’ASL debba inoltre garantire al medico, anche senza sua richiesta, il riposo settimanale, trattandosi di diritto indisponibile. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza che aveva dichiarato la nullità dell’art. 17, comma 5, del c.c.n.l. citato, in quanto secondo il Tribunale detta disposizione consentiva che l’attività del medico reperibile, espletata in giorno festivo, fosse considerata lavoro straordinario, con definitiva perdita del riposo settimanale)[27]. Va però tenuta presente la sentenza del Consiglio di Stato n. 5353/2013[28] che non ha riconosciuto il diritto all’indennità di reperibilità per i dipendenti del comparto sanità pubblica in quanto essa “…non può essere corrisposta al sanitario operante all’interno e al servizio di una struttura pubblica sino a che non sia stato istituito e regolamentato il relativo servizio, senza il quale non è possibile definire gli impegni che ne derivano a carico dei singoli sanitari, e di conseguenza non è possibile attribuire le relative indennità; inoltre, il fatto che nelle more taluno dei sanitari abbia ritenuto di dover assicurare spontaneamente una certa reperibilità, non risolvendosi in un vincolo giuridico, non costituisce presupposto per la corresponsione dell’indennità”.

Il tempo di disponibilità: il termine “disponibilità” ha uno specifico significato nel settore dell’autotrasport[29], mentre in taluni comparti della Pubblica amministrazione, come ad esempio quello della sanità, esso è sinonimo di “reperibilità”[30].

Per quanto concerne il tempo di disponibilità degli autotrasportatori, non avendo il legislatore ricompreso tale periodo nel concetto di orario di lavoro, come definito alla lettera a) dell’art. 3 del D.Lgs. 234/2007, esso non dovrebbe essere retribuito. E’ peraltro intervenuta sullo specifico argomento la contrattazione collettiva che, all’art. 11, comma 3, del CCNL Logistica, ha demandato alla contrattazione collettiva di secondo livello la possibilità di prevedere l’erogazione di un compenso forfettario[31].

 

Pause

Con alcune eccezioni, di cui accenneremo in questo stesso paragrafo, non rientrano nella nostra trattazione la maggior parte delle cosiddette “pause”, ex art. 8 D.Lgs. 66/2003, in quanto tali periodi non possono essere fatti rientrare ad alcun titolo nel concetto di orario di lavoro, non sussistendo le condizioni previste dalla legge (e cioè essere il lavoratore contemporaneamente: al lavoro; a disposizione del datore di lavoro; nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni). Ciò, anche se per talune di esse, come la pausa pasto per i lavoratori turnisti o le cosiddette pause fisiologiche, la contrattazione collettiva abbia talora previsto che siano retribuite[32].

Pause per videoterminalisti: l’art. 125 del D.Lgs 81/2008 (Testo unico sulla sicurezza del lavoro)[33] prevede che i videoterminalisti (cioè quei lavoratori che, in base alla definizione data dall’art. 173 del D.Lgs. 81/2008, utilizzano un’attrezzatura munita di videoterminali, in modo sistematico o abituale, per almeno venti ore settimanali, dedotte le pause) debbano obbligatoriamente interrompere la loro attività al videoterminale per un periodo di quindici minuti (salvo condizioni di miglior favore derivanti dalla contrattazione collettiva) ogni centoventi minuti di applicazione continuativa al videoterminale. L’art. 175 citato prevede espressamente, al comma 7 che tale pausa “è considerata a tutti gli effetti parte integrante dell’orario di lavoro e, come tale, non è riassorbibile all’interno di accordi che prevedono la riduzione dell’orario complessivo di lavoro”, per cui non v’è dubbio che debba essere retribuita. Il datore di lavoro però, per il periodo di durata della pausa, ha il diritto di adibire il lavoratore ad altra attività.

Inoltre, se durante la normale attività di videoterminalista, vi sono dei tempi di attesa per la risposta da parte del sistema elettronico, essi in base al comma 6 dello stesso art. 175 “sono considerati, a tutti gli effetti, tempo di lavoro, ove il lavoratore non possa abbandonare il posto di lavoro” e come tali retribuiti.

Pause e riposi intermedi per conducenti di automezzi da trasporto: l’art. 7 del Regolamento UE 561/2006[34] impone al conducente di automezzi da trasporto di effettuare dopo un periodo di guida di quattro ore e mezza una interruzione dell’attività di 45 minuti (o, sempre entro il periodo di quattro ore e mezza, due interruzioni, una di 15 e l’altra di 30 minuti). In assenza di eventuali discipline contrattuali collettive, tali periodi di tempo non rientrano nel concetto di orario di lavoro e come tali non dovrebbero essere retribuiti.

La norma europea è stata recepita ed integrata dal D.Lgs. 234/2007 che, a proposito di pause e riposi ha previsto all’art. 5 che il conducente, ogni sei ore consecutive di attività di guida, abbia diritto a periodi di riposo di almeno trenta minuti se il totale delle ore di lavoro è compreso fra sei e nove ore) e di almeno quarantacinque minuti se il totale delle ore di lavoro supera le nove ore[35]. Nulla precisando tale norma circa la loro retribuibilità, tali periodi di tempo non dovrebbero rientrare nel concetto di orario di lavoro e, di conseguenza, non dovrebbero essere retribuiti. E’ però intervenuta la contrattazione collettiva, che, all’art. 11 del CCNL Logistica, ha stabilito, da un lato, come vadano ricompresi nell’orario di lavoro -e, pertanto, retribuiti- i periodi di tempo durante i quali il lavoratore mobile non può disporre liberamente del proprio tempo e deve rimanere sul posto di lavoro, pronto a svolgere il suo lavoro normale, occupato in compiti connessi all’attività di servizio (comma 1) e, dall’altro, non rientrino nel concetto di orario di lavoro -e, quindi non siano retribuiti- i periodi di interruzione dalla guida, i periodi di riposo e i periodi di attesa per i divieti di circolazione (comma 2) [36].. Per i periodi di disponibilità, come già abbiamo sopra accennato, è demandata alla contrattazione collettiva di secondo livello la possibilità di prevedere l’erogazione di un compenso forfettario

 

[1] Per i lavoratori marittimi la definizione di orario di lavoro data dall’art.2, comma 1, lettera b) del Decreto legislativo 27 maggio 2005 n.108 è invece la seguente:” Il periodo durante il quale un lavoratore marittimo è tenuto ad effettuare l’attività lavorativa a bordo in relazione all’esercizio della nave. Sono computate nella durata del lavoro a bordo, oltre alle normali attività di navigazione e di porto, anche gli appelli, le esercitazioni antincendio e di salvataggio e le esercitazioni prescritte da normative e regolamenti nazionali e da convenzioni internazionali, nonché le attività di formazione in materia di igiene e sicurezza del lavoro a bordo, in relazione alle mansioni svolte”. Per l’estrema specificità del lavoro marittimo, non ne tratteremo nelle presenti note.

[2] Cassazione civile, sez. lav., 21 otobre 2003,  n. 15734, in Foro it. 2004, I, 89

[3] Cassazione civile, sez. lav., 26 gennaio 2016,  n. 1352, in Foro it. 2016, 4, I, 1286. Conforme: Corte appello L’Aquila, sez. lav., 11 febbraio 2016, in Ilgiuslavorista.it 2016, 10 maggio

[4] Cassazione civile, sez. lav., 13 aprile 2015,  n. 7396, in Foro it. 2015, 6, I, 1953. Conformi: Cassazione civile, sez. lav., 7 febbraio 2014,  n. 2837, in Foro it. 2014, 3, I, 780 e Cassazione civile, sez. lav., 15 gennaio 2014,  n. 692, in Diritto & Giustizia 2014, 10 aprile

[5] Un esempio, tra i tanti, di disciplina contrattuale collettiva è quello contenuto nell’art. 4, comma 6 del Contratto Collettivo Decentrato Integrativo dei Vigili Urbani del Comune di Milano del 12 febbraio 2002: “Viene  determinato  in  15  minuti,  all’inizio  e  alla  fine  del  turno,  il  tempo  per  indossare  e  svestire l’uniforme. Al personale che, dichiarando di rinunciare a tale tempo, è già operativo all’inizio del turno e pronto ad uscire dal Reparto di appartenenza e, salvo diversa autorizzazione dei superiori,  non  vi  rientra prima  della fine  del  turno,  è  corrisposto  un incentivo di € 154,94 (£ 300.000) mensili calcolate su 22 giorni lavorativi. Ogni Agente può optare per l’una o per l’altra modalità di espletamento del servizio dandone comunicazione al Settore Personale della Polizia Municipale con almeno un mese di anticipo rispetto alla decorrenza della scelta. L’opzione è reversibile con preavviso di 1 mese.”

[6] Tribunale di Genova – Sezione Lavoro, 27 settembre 2011, n. 1401

[7] Cfr. ad esempio il Contratto integrativo territoriale 8 febbraio 2010 Commercio – Turismo, Az. Alberghiere di Firenze: “Art. 8 – Turno di lavoro “spezzato”: Il lavoro giornaliero si svolge in uno o due turni. Diversi e più funzionali criteri di distribuzione dell’orario di lavoro giornaliero reclamati dalla peculiare natura dell’attività ricettiva potranno essere negoziati tra le parti a livello aziendale. Il nastro orario è fissato in 14 ore per il personale di sala, ricevimento e portineria e di 12 ore per il restante personale. Considerato l’evidente disagio del turno di lavoro spezzato, nell’ottica della ricerca di soluzioni condivise, su richiesta delle RSA-RSU e/o le OO.SS. si terranno degli incontri nelle singole strutture per verificare, se presente, l’utilizzo del turno spezzato, la sua effettiva necessità e l’equa ripartizione.

[8] Cassazione civile, sez. lav., 14 ottobre 2015,  n. 20694, in Mass. Giust. Civ. 2015

[9] Decreto Legislativo 19 novembre 2007 n.234 – Attuazione della direttiva 2002/15/CE concernente l’organizzazione dell’orario di lavoro delle persone che effettuano operazioni mobili di autotrasporti.

[10] Cassazione civile, sez. lav., 2 ottobre 2015,  n. Diritto & Giustizia 2015, 5 ottobre

[11] In genere, affinchè si possa parlare in modo corretto di trasferta o missione, il luogo di destinazione deve trovarsi al di fuori dei limiti comunali ove si trova la normale sede i lavoro del lavoratore. Ai fini delle presenti note considereremo però anche gli spostamenti all’interno della cerchia comunale.

[12] Regio Decreto 10 settembre 1923, n. 1955 – Approvazione del regolamento relativo alla limitazione dell’orario di lavoro per gli operai ed impiegati delle aziende industriali o commerciali di qualunque natura. Art. 5: “Non si considerano come lavoro effettivo: 1) i riposi intermedi che siano presi sia all’interno che all’esterno dell’azienda; 2) il tempo impiegato per recarsi al posto di lavoro. (omissis)”.

[13] Decreto Legislativo 8 aprile 2003 n.66 – Attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro. Articolo 8 – Pause, comma 3: “3. Salvo diverse disposizioni dei contratti collettivi, rimangono non retribuiti o computati come lavoro ai fini del superamento dei limiti di durata i periodi di cui all’articolo 5 regio decreto 10 settembre 1923, n. 1955, e successivi atti applicativi, e dell’articolo 4 del regio decreto 10 settembre 1923, n. 1956, e successive integrazioni.”

[14] Cassazione civile, sez. lav., 10 aprile 2001,  n. 5359, in Mass. Giust. civ. 2001, 760. Conforme Cassazione civile, sez. lav., 19 dicembre 2008,  n. 29836, in Giust. civ. 2009, 10, I, 2289

[15] Cassazione civile, sez. lav., 15 ottobre 2013,  n. 23360, in Diritto e Giustizia online 2013, 16 ottobre. Conformi Cassazione civile, sez. lav., 26/ luglio 2010,  n. 17511, in Mass. Giust. civ.  2010, 7-8, 1070 e Cassazione civile, sez. lav., 22 marzo 2004,  n. 5701, in Riv. crit. dir. lav. 2004, 601.

[16] Corte di Giustizia UE, Terza Sezione, sentenza 10 settembre 2015, causa C-266/14, su: http://curia.europa.eu/juris/celex.jsf?celex=62014CC0266&lang1=it&type=TXT&ancre=

[17] CCNL industria metalmeccanica 26 novembre 2016, art. 7, comma III, della Sezione 4, Titolo I: “Al  lavoratore  comandato  in  trasferta,  ad  esclusione  del  personale direttivo…spetta un compenso per il tempo di viaggio, preventivamente approvato dall’azienda,  in  base  ai  mezzi  di  trasporto  dalla  stessa  autorizzati  per  raggiungere la localita di destinazione e viceversa, nelle seguenti misure: a) la  corresponsione  della  normale  retribuzione  per  tutto  il tempo  coincidente  col  normale  orario  giornaliero  di  lavoro  in  atto nello  stabilimento  o  cantiere  di  origine; b) la corresponsione di un importo pari all’85 per cento per le ore eccedenti il normale orario di lavoro di cui al punto a) con esclusione  di  qualsiasi  maggiorazione  ex  art.  7,  Sezione  quarta,  Titolo  III (lavoro  straordinario,  notturno  e  festivo)

[18] CCNL industria tessile e abbigliamento 21 febbraio 2017, art. 49: “Ai lavoratori occasionalmente inviati in trasferta le ore di viaggio eccedenti l’orario normale di lavoro verranno retribuite con il 100% dll’elemento retributivo nazionale (sono esclusi da detto trattamento i avoratori che non sono soggetti alla limitazione dell’orario di lavoro). Il trattamento non e` cumulabile con quanto comunque concesso allo stesso titolo aziendalmente o individualmente.”

[19] CCNL industria alimentare 27 ottobre 2012, art 59- Trasferte: “Le ore di viaggio coincidenti con il normale orario giornaliero di lavoro in atto nello stabilimento di origine saranno retribuite al 100 per cento della retribuzione normale, e, quelle non coincidenti con tale orario, con il 65 per cento della stessa retribuzione. Ai fini di cui sopra non sono cumulabili le ore di viaggio compiute in giorni diversi.

[20] CCNL  metalmeccanici 5 dicembre 2012, Sez. Quarta, Titolo III, articolo 6: “Dal momento della chiamata e per il tempo necessario a raggiungere il luogo dell’intervento e di quello necessario al successivo rientro verrà riconosciuto un trattamento pari all’85% della normale retribuzione oraria lorda senza maggiorazioni.”. La norma non è stata modificata nei successivi accordi di rinnovo.

[21] Decreto Ministero del Lavoro 15 Luglio 1986 n. 536700, art. 4: “L’orario di reperibilità del lavoratore entro il quale devono essere effettuate le visite mediche di controllo è dalle ore 10 alle 12 e dalle 17 alle 19 di tutti i giorni, compresi i domenicali o festivi.

[22] Cassazione civile, sez. lav., 15 maggio 2013,  n. 11727, in Ragiusan 2013, 354-356, 388.

[23] L’unico riferimento legislativo alla reperibilità è contenuto nell’articolo 7 del D.Lgs. 66/2003 (Testo Unico sull’orario di lavoro): Art. 7 – Riposo giornaliero: “1. Ferma restando la durata normale dell’orario settimanale, il lavoratore ha diritto ha undici ore di riposo consecutivo ogni ventiquattro ore. Il riposo giornaliero deve essere fruito in modo consecutivo fatte salve le attività caratterizzate da periodi di lavoro frazionati durante la giornata o da regimi di reperibilita

[24] CCNL commercio e terziario Confcommercio 18 luglio 2008, settore attività ausiliarie, sosta e parcheggi, art. 2; settore call center in outsourging, art. 14. Le norme citate non sono state modificate nei successivi accordi di rinnovo.

[25] CCNL  metalmeccanici 5 dicembre 2012, Sez. Quarta, Titolo III, articolo 6. La norma non è stata modificata nei successivi accordi di rinnovo.

[26] Cassazione civile, sez. lav., 15 gennaio 2013,  n. 810, in Mass. Giust. civ.. 2013

[27] Cassazione civile, sez. lav., 18 marzo 2016,  n. 5465, in Lav. Pubbl.. Amm. (Il) 2016, 1-2, II, 238

[28] Consiglio di Stato, sez. III, 8 novembre 2013,  n. 5353, in Foro Amministrativo – C.d.S. (Il) 2013, 11, 2979

[29] Decreto Legislativo 19 novembre 2007 n.234, art. 3 – Definizioni, comma 1, lettera b): “ Tempi di disponibilità: 1) i periodi diversi dai riposi intermedi e dai periodi di riposo, durante i quali il lavoratore mobile, pur non dovendo rimanere sul posto di lavoro, deve tenersi a disposizione per rispondere ad eventuali chiamate con le quali gli si chiede di iniziare o riprendere la guida o di eseguire altri lavori. In particolare, sono considerati tempi di disponibilità i periodi durante i quali il lavoratore mobile accompagna il veicolo trasportato a bordo di una nave traghetto o di un treno ed i periodi di attesa alle frontiere e quelli dovuti a divieti di circolazione. Tali periodi e la loro probabile durata devono essere comunicati al lavoratore mobile con preavviso, vale a dire o prima della partenza o poco prima dell’inizio effettivo del periodo considerato, oppure secondo le condizioni generali negoziate tra le parti sociali;  2) per i lavoratori mobili che guidano in squadre, il tempo trascorso a fianco del conducente o in una cuccetta durante la marcia del veicolo;”

[30] Cfr. CCNL integrativo Comparto Sanità 20 settembre 2001, art. 7 – Servizio di pronta disponibilità: “1.Il servizio di pronta disponibilità è caratterizzato dalla immediata reperibilità del dipendente e dall’obbligo per lo stesso di raggiungere la struttura nel tempo previsto con modalità stabilite ai sensi del comma 3

[31] CCNL logistica, trasporto merci e spedizione 1 agosto 2013 – art. 11– Orario di lavoro per il personale viaggiante:”3.Per i tempi di disponibilità in cui il lavoratore mobile, pur non dovendo rimanere sul posto di lavoro, deve tenersi a disposizione per rispondere ad eventuali chiamate con le quali gli si chieda di iniziare o di riprendere la guida o di eseguire altri lavori, è dovuto unicamente il trattamento di trasferta. I seguenti periodi si calcolano, ai soli fini retributivi, in ragione del 50% della loro durata per la sola parte che eccede il limite dell’orario ordinario e non concorrono al computo del lavoro straordinario: a) tempo trascorso in viaggio, per treno, per nave, aereo od altri mezzi di trasporto per la esecuzione dei servizi affidati al lavoratore; b) tempo di attesa del proprio turno di guida nella cabina dell’autotreno guidato da due conducenti e ripartendo in misura uguale fra di essi il lavoro effettivo in trasferta. Le disposizioni per l’imbarco su treno o traghetto o per la presenza del secondo conducente assolvono la comunicazione di cui all’art. 3, comma 1 lettera b) del D.LGVO 234/2007.I periodi di cui sopra potranno essere retribuiti secondo le modalità stabilite dagli accordi di forfettizzazione di cui al successivo comma 8.”

[32] Cfr. ad esempio il CCNL  metalmeccanici 5 dicembre 2012, Sez. Quarta, Titolo III, articolo 5: “Con decorrenza dal 1º luglio 1978 tutti i lavoratori addetti a turni avvicendati beneficiano di  mezz’ora retribuita per la refezione nelle ore di presenza in azienda”.

[33]  Decreto Legislativo 9 aprile 2008 n. 81Art. 175 – Svolgimento quotidiano del lavoro: “1. Il lavoratore, ha diritto ad una interruzione della sua attività mediante pause ovvero cambiamento di attività. 2. Le modalità di tali interruzioni sono stabilite dalla contrattazione collettiva anche aziendale. 3. In assenza di una disposizione contrattuale riguardante l’interruzione di cui al comma 1, il lavoratore comunque ha diritto ad una pausa di quindici minuti ogni centoventi minuti di applicazione continuativa al videoterminale. 4. Le modalità e la durata delle interruzioni possono essere stabilite temporaneamente a livello individuale ove il medico competente ne evidenzi la necessità. 5. E’ comunque esclusa la cumulabilità delle interruzioni all’inizio ed al termine dell’orario di lavoro. 6. Nel computo dei tempi di interruzione non sono compresi i tempi di attesa della risposta da parte del sistema elettronico, che sono considerati, a tutti gli effetti, tempo di lavoro, ove il lavoratore non possa abbandonare il posto di lavoro. 7. La pausa è considerata a tutti gli effetti parte integrante dell’orario di lavoro e, come tale, non è riassorbibile all’interno di accordi che prevedono la riduzione dell’orario complessivo di lavoro.

[34] Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio 15 marzo 2006 n. 561 relativo all’armonizzazione di alcune disposizioni in materia sociale nel settore dei trasporti su strada, art. 7: “ Dopo un periodo di guida di quattro ore e mezza, il conducente osserva un’interruzione di almeno 45 minuti consecutivi, a meno che non inizi un periodo di riposo. Questa interruzione può essere sostituita da un’interruzione di almeno 15 minuti, seguita da un’interruzione di almeno 30 minuti: le due interruzioni sono intercalate nel periodo di guida in modo da assicurare l’osservanza delle disposizioni di cui al primo comma.”

[35] Decreto Legislativo 19 novembre 2007 n.234, art. 5 – Riposi intermedi: “1. Ferma restando la tutela prevista dal regolamento (CE) n. 561/06 ovvero, in difetto, dall’accordo AETR, le persone che effettuano operazioni mobili di autotrasporto, non possono lavorare in nessun caso per più di sei ore consecutive senza un riposo intermedio. L’orario di lavoro deve essere interrotto da riposi intermedi di almeno trenta minuti se il totale delle ore di lavoro è compreso fra sei e nove ore, di almeno quarantacinque minuti se supera le nove ore. 2. I riposi intermedi possono essere suddivisi in periodi non inferiori a quindici minuti ciascuno.

[36] CCNL logistica, trasporto merci e spedizione 1 agosto 2013 – art. 11– Orario di lavoro per il personale viaggiante:”1. Agli effetti delle disposizioni del presente articolo si intende per orario di lavoro ogni periodo compreso fra l’inizio e la fine del lavoro durante il quale il lavoratore autista è sul posto di lavoro, a disposizione del datore di lavoro ed esercita le sue funzioni o attività ossia: a) il tempo dedicato a tutte le operazioni di autotrasporto; in particolare la guida, il carico e lo scarico, la pulizia e la manutenzione tecnica del veicolo, ogni altra operazione volta a garantire la sicurezza del veicolo e del carico o ad adempiere agli obblighi legali o regolamentari direttamente legati al trasporto specifico in corso, incluse la sorveglianza delle operazioni di carico e scarico, le formalità amministrative di polizia e di dogana o altro; b) i periodi di tempo durante i quali il lavoratore mobile non può disporre liberamente del proprio tempo e deve rimanere sul posto di lavoro, pronto a svolgere il suo lavoro normale, occupato in compiti connessi all’attività di servizio. 2. Sono esclusi dal computo dell’orario di lavoro i periodi di interruzione dalla guida di cui all’art. 7 del regolamento CE 561/06, i riposi intermedi di cui all’articolo 5 del Decreto Legislativo 234/07, i periodi di riposo di cui all’articolo 6 del medesimo decreto e i periodi di attesa per i divieti di circolazione con esclusione dei casi in cui tali periodi siano fruiti presso la residenza del lavoratore. In tali casi il lavoratore mobile ha diritto alla sola indennità di trasferta.”

A cura degli Avv.ti Massimo Tommaso Goffredo e Vincenzo Meleca


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