Il patto di prova e la recente giurisprudenza di merito | ISPER HR Review | ADLABOR

È noto che il patto di prova è una clausola che può essere apposta al contratto di lavoro ed ha la funzione di permettere a lavoratori e aziende di avere il tempo per valutare la reciproca convenienza all’instaurazione di un rapporto di lavoro.

Durante il periodo di prova, le parti possono decidere di recedere dal contratto senza obbligo di preavviso o indennità, come previsto dall’art. 2096 del Codice civile.

Il patto di prova nel contratto di lavoro, inoltre, deve avere forma scritta ed una durata massima non superiore ai 6 mesi e va stipulato prima dell’inizio del rapporto di lavoro.

La Corte d’Appello di Brescia, con la sentenza n. 328 del 2 febbraio 2023, si è pronunciata in merito al caso di una lavoratrice che aveva reso “di fatto” la prestazione lavorativa e successivamente, dopo essere stata assunta come addetta commerciale, era stata licenziata dall’azienda datrice di lavoro per mancato superamento del periodo di prova.

La lavoratrice ha impugnato il licenziamento sostenendo la nullità del patto di prova, in quanto sottoscritto dopo che il rapporto di lavoro era stato di fatto instaurato.

La Corte d’Appello Bresciana ha accolto in toto le doglianze della lavoratrice, stigmatizzando l’operato della Società, e in particolare ribadendo il principio per cui: “E’ pacifico che, una volta accertato che il rapporto di lavoro è stato instaurato sin dal 26.11.2018, è nullo il patto di prova apposto al contratto di assunzione stipulato il 29.3.2019. Infatti, secondo il consolidato orientamento della Corte di Cassazione, “la forma scritta, necessaria a norma dell’art. 2096 cod. civ. per il patto di prova, è richiesta “ad substantiam”, e tale essenziale requisito di forma, la cui mancanza comporta la nullità assoluta del patto di prova, deve sussistere sin dall’inizio del rapporto, senza alcuna possibilità di equipollenti o sanatorie” (Cass. 16214/16; nello stesso senso: Cass. 11405/13, Cass. 16806/11, Cass. 21758/10)”.

Ma, oltre al requisito formale della forma scritta, il patto di prova deve indicare in modo chiaro e preciso le mansioni che il lavoratore è chiamato a svolgere, poiché il periodo di prova è funzionale a “testare” il rapporto di lavoro: è quindi essenziale fornire al lavoratore in prova una indicazione analitica di quali sono i compiti  su cui verterà la prova , così da consentire al lavoratore di mettere alla prova le proprie attitudini e competenze professionali e dare al datore di lavoro elementi utili per esprimere un giudizio sull’esito della prova esperita.

Sul tema della specificità delle mansioni oggetto del periodo di prova si sono recentemente pronunciate la Corte d’Appello di Milano e quella capitolina, giungendo alla medesima meta.

La Corte d’Appello di Milano si è trovata a dirimere una controversia promossa da un lavoratore assunto con mansioni di “impiegato capo area” e che è stato successivamente licenziato per mancato superamento della prova.

Il lavoratore ha impugnato il licenziamento focalizzandosi sulla mancata specificazione delle mansioni nel contratto di assunzione. In primo grado, il Giudice del lavoro aveva rigettato la domanda del lavoratore, ritenendo che l’indicazione delle mansioni che costituivano oggetto del patto di prova potesse essere ricostruita anche “per relationem”, ossia facendo riferimento alle declaratorie previste dal contratto collettivo di lavoro.

La Corte d’Appello di Milano, riformando la decisione del Tribunale, con sentenza n. 258 dell’8 marzo 2023, ha invece ritenuto nullo il patto di prova apposto al contratto per genericità delle mansioni indicateatteso che la facoltà del datore di lavoro di esprimere la propria insindacabile valutazione sull’esito della prova presuppone che questa debba effettuarsi in ordine a mansioni esattamente identificate ed indicate.

A sostegno di questa decisione, la Corte d’Appello di Milano ha richiamato l’orientamento della Suprema Corte di Cassazione, secondo il quale il patto di prova deve contenere la specifica indicazione delle mansioni che ne costituiscono l’oggetto, essendo ammesso il richiamo alla contrattazione collettiva di settore esclusivamente in presenza di un rinvio sufficientemente analitico (ex multis Cass. sent.  n. 1099/2022) e riferibile alla nozione classificatoria più dettagliata.

In particolare la Suprema Corte ha recentemente affermato che: “Il patto di prova apposto ad un contratto di lavoro deve contenere la specifica indicazione delle mansioni che ne costituiscono l’oggetto, la quale può essere operata anche con riferimento alle declaratorie del contratto collettivo, sempre che il richiamo sia sufficientemente specifico e riferibile alla nozione classificatoria più dettagliata, sicché, se la categoria di un determinato livello accorpi un pluralità di profili, è necessaria l’indicazione del singolo profilo, mentre risulterebbe generica quella della sola categoria” (Cass., Sez. Lav., 27 febbraio 2023 n. 5881).

In termini pratici ciò comporta l’onere per il datore di lavoro, allorquando nella declaratoria contrattuale siano presenti diversi profili per lo stesso livello, di indicare con precisione il profilo professionale al quale si fa riferimento o preferibilmente di indicare le mansioni, oggetto della prova, direttamente nella sezione della lettera di assunzione dedicata al patto di prova, o tramite un rinvio – sempre all’interno dello stesso contratto individuale di lavoro – alla sezione in cui sono illustrati gli incarichi assegnati al neo assunto.

Sotto il profilo sanzionatorio, secondo quanto deciso dal Collegio della Corte d’Appello meneghina nella sentenza in commento, l’indeterminatezza delle mansioni del patto di prova comporta la conversione del rapporto in prova in un ordinario rapporto a tempo indeterminato, che può essere interrotto solo applicando il regime ordinario in materia di licenziamenti.

Da ciò discende che l’illegittimo recesso in prova è disciplinato dall’articolo 2 del d.lgs. 23/2015, che prevede la sanzione della nullità e la conseguente condanna del datore di lavoro alla reintegrazione in servizio del lavoratore ed il risarcimento pari a tutte le retribuzioni non percepite dal recesso fino alla ripresa del lavoro.

Parimenti, la Corte di Appello di Roma, con sentenza 4949/2022 del 17 gennaio 2023, si è pronunciata sancendo  la nullità del patto di prova e quindi l’illegittimità del recesso intimato dall’azienda, affermando che il semplice richiamo, all’interno del contratto, alla qualifica di “addetto di negozi o filiali di esposizione” contenuta nel CCNL applicato, non è idonea a integrare una chiara e specifica indicazione delle mansioni oggetto della prova e, pertanto, non consenta alle parti e al Giudice di effettuare una verifica concreta  “perché il termine “addetto” è generico e omnicomprensivo e i termini “negozi” e “filiali di esposizione” sono analogamente “muti” rispetto all’individuazione delle mansioni oggetto del contratto di lavoro”.

Occorrerà quindi, in sede di assunzione in prova, indicare con sufficiente specificità l’incarico del neoassunto e/o allegare alla lettera di assunzione l’analitica job description assegnata al lavoratore  in prova onde evitare contestazioni e l’instaurazione di vertenze potenzialmente sempre rischiose.

Interpretazione elaborata in collaborazione con ISPER HR Review del 26 aprile 2023.

 

 


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