Dati personali – recupero e utilizzo – liceità | ADLABOR | ISPER HR Review

Non è del tutto infrequente il caso in cui un dipendente sia dotato di computer personale e vi conservi dati anche di rilevanza aziendale significativa, spesso collocati in un portatile. Se però questi dati non sono condivisi nei sistemi informativi aziendali solo la collaborazione dell’interessato può consentirne l’accesso. Ma può accadere che il dipendente non agevoli il recupero o l’acquisizione delle informazioni di interesse aziendale spingendosi fino a renderli inintelligibili o a danneggiarli, ovvero a cancellarli.

In questi casi le regole, invero stringenti, sulla privacy costituiscono un ostacolo al recupero dei dati a meno che non si ricada in ipotesi di violazioni penali da parte del responsabile. Ma anche prescindendo da fattispecie delittuose quali quelle previste dall’articolo 615 ter e seguenti del codice penale, il datore di lavoro deve poter accedere alle informazioni aziendali conservate da un dipendente e non condivise.

Tipico è il caso del dipendente dimissionario che si rifiuti di restituire portatile, o comunicare le password di accesso al suo computer, in cui aveva registrato dati di carattere riservato, ad esempio: know how, politiche commerciali, progetti ecc. dell’azienda con cui ha cessato la collaborazione. Altra fattispecie è quella del lavoratore che si assenti per un lungo periodo conservando presso di sé un portatile ovvero le password della sua postazione fissa, impedendo così datore di lavoro l’acquisizione e l’utilizzo dei dati che il dipendente aveva raccolto nell’interesse aziendale.

Una recente sentenza della Cassazione (33809/2021) offre uno spunto interessante per ovviare a situazioni quali quelle testé descritte, però soltanto a specifiche condizioni.

In particolare la pronunzia della Suprema Corte ha ritenuto legittima l’acquisizione di dati personali nel caso in cui l’accesso fosse finalizzato all’esercizio del diritto di difesa in giudizio, nel qual caso soccorre l’articolo 24 lettera f) della legge sulla privacy 196/2003. I giudici sono giunti ad affermare la liceità della condotta aziendale di accesso ai dati personali di un dipendente sulla scorta del principio del bilanciamento tra diritto di difesa in sede giudiziaria e tutela della riservatezza, assumendo che il diritto di difesa in giudizio prevale su quello della inviolabilità della corrispondenza, essendo tale anche quella informatica e telematica. Nella fattispecie il recupero dell’utilizzo dei dati era stato effettuato sul computer aziendale di un lavoratore dimissionario al fine di intentare causa nei suoi confronti per il risarcimento dei danni da questi provocati all’azienda.

Il principio della prevalenza dell’esercizio di un diritto in sede giudiziaria rispetto alla tutela della privacy potrebbe valere anche in fattispecie analoghe, ma il presupposto della liceità dell’acquisizione di dati su file personali di un lavoratore risiede nella necessità dell’utilizzo dei dati acquisiti ai fini dell’esercizio di un’azione giudiziaria, purché le informazioni vengano acquisite e trattate esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento.

Interpretazione elaborata in collaborazione con ISPER HR Review del 23 marzo 2022


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