Rinunce e transazioni – Impugnazione | ADLABOR

L’Art. 2113 c.c. sancisce che “le rinunzie e le transazioni, che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi concernenti i rapporti di cui all’articolo 409 del codice di procedura civile non sono valide”. Il secondo comma stabilisce che “l’impugnazione deve essere proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi dalla data di cessazione del rapporto o dalla data della rinunzia o della transazione, se queste sono intervenute dopo la cessazione della medesima”.

L’art. 2113 c. c . non disciplina i casi in cui la rinuncia o la transazione abbia ad oggetto diritti assolutamente indisponibili o diritti futuri, eventuali e non determinati: in tal caso, le rinunce e le transazioni devono considerarsi radicalmente nulle e, dunque, possono essere impugnate in qualsiasi momento.

La giurisprudenza ormai consolidata è solita distinguere i diritti indisponibili ex art. 2113 c.c. in due categorie: i diritti assolutamente indisponibili ed i diritti relativamente indisponibili.

I primi la cui dismissione è affetta da nullità assoluta, che, come noto, a differenza della annullabilità ex art. 2113 cc, è insanabile. E i secondi, nonché i  diritti relativamente indisponibili la cui dismissione è sanabile mediante rinuncia all’impugnazione nel termine semestrale di decadenza sancito ex art. 2113 c.c..

I diritti relativamente indisponibili sono: i diritti di natura retributiva e risarcitoria derivanti al lavoratore dalla lesione di diritti fondamentali della persona (diritto alla salute, al riposo ed alle ferie). Le rinunzie relative a tali diritti patrimoniali sono annullabili ma suscettibili di convalida in caso di mancata impugnazione nel termine semestrale. Infatti, quando il lavoratore non impugna nei termini ex art. 2113 c.c. il diritto, il vizio sarà sanato e diventerà inoppugnabile: si tratta, pertanto, di una sorta di convalida ex post.

Invece, i diritti assolutamente indisponibili sono: i diritti aventi un contenuto non patrimoniale, come quelli posti a tutela della personalità morale o della integrità fisica del prestatore (art. 2087 c.c.);  gli atti dispositivi aventi ad oggetto quei diritti espressamente qualificati come “indisponibili” da specifiche norme di legge (art. 22 D.P.R. n. 797/1955, concernente gli assegni familiari; art. 114 T.U. n. 1124/1965, avente ad oggetto gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali);  i diritti previdenziali (art. 2115 c.c.);  il diritto alla retribuzione minima stabilita dai contratti collettivi;  il diritto al trattamento di fine rapporto (artt. 2120 e 2121 c.c.);  il diritto a non essere licenziati nei periodi di astensione per maternità(artt. 2110 e 2111 c.c.) o matrimonio (l. n. 7/1963);  i diritti scaturenti dallo Statuto dei lavoratori ;  il diritto all’ assunzione obbligatoria (l. n. 68/1999);  il diritto alla riassunzione entro un anno dal licenziamento per riduzione del personale.

I diritti assolutamente indisponibili sono radicalmente nulli, pertanto non possono essere sanati. Infatti le rinunzie e le transazioni aventi ad oggetto tale tipo di diritti possono essere impugnate in qualsiasi momento.

Invece, le rinunzie e le transazioni del lavoratore su diritti futuri sono radicalmente nulle e, pertanto, insanabili: infatti, non possono essere oggetto di rinunzie e transazioni diritti che non sono ancora sorti, in quanto le parti, non disponendo ancora di tali diritti, non hanno legittimazione a disporre degli stessi.

In particolar modo la giurisprudenza è assolutamente conforme nello stabilire che “gli atti dismissori che incidono su diritti futuri, eventuali e non determinati, devono essere considerati radicalmente nulli, e pertanto possono essere impugnati in ogni tempo” (Cass. n. 12561/2006; Cass. n. 13834/2001; Cass. n. 3093/1992).

A cura di Cristiana Ebanietti


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