Trasferimento d’azienda – contrattato collettivo applicabile- trattamenti individuali – usi aziendali | ADLABOR | ISPER HR Review

Il trasferimento d’azienda consiste, ex art 2112, comma 5, del codice civile, in “qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di un’attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il trasferimento è attuato ivi compresi l’usufrutto o l’affitto di azienda”. Per trasferimento d’azienda, secondo il medesimo articolo, s’intende anche il “trasferimento di parte dell’azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento” (identificando così anche il ramo d’azienda).

In caso di passaggio, il rapporto di lavoro esistente tra il lavoratore e il cedente continua con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano. Il nuovo datore di lavoro, ex art 2112 comma 3, deve “applicare i trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi nazionali, territoriali ed aziendali vigenti alla data del trasferimento, fino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti da altri contratti collettivi applicabili all’impresa del cessionario”. Tale effetto di sostituzione si produce, tuttavia, solo fra contratti collettivi dello stesso livello. Ciò significa che in caso di trasferimento di un’azienda, il contratto collettivo che regolava il rapporto di lavoro nell’azienda cedente si applica ai dipendenti del cedente che vengono trasferiti all’azienda cessionaria solo se l’azienda cessionaria non applica alcun contratto collettivo. Altrimenti, la contrattazione collettiva del cedente è immediatamente e completamente sostituita da quella applicata dal cessionario, anche se è meno favorevole al lavoratore. Tuttavia, la legge prevede che questo effetto sostitutivo operi solo per i contratti collettivi dello stesso livello. Ad esempio, se l’azienda cedente applicava sia un contratto collettivo nazionale sia un contratto integrativo aziendale e l’azienda cessionaria applica solo il contratto collettivo nazionale, l’effetto sostitutivo opererà solo per il contratto collettivo nazionale mentre i lavoratori trasferiti all’azienda cessionaria continueranno a godere dei diritti derivanti dal contratto aziendale che era in vigore presso l’azienda cedente, almeno fino alla sua scadenza. Se invece esiste un accordo aziendale anche presso la cessionaria, si applicherà quest’ultimo, anche se più sfavorevole.

Anche la giurisprudenza ha confermato tale impostazione: “ai lavoratori che passano alle dipendenze di altra impresa, per effetto di trasferimento dell’azienda, o di un suo ramo, “si applica il contratto collettivo che regolava il rapporto di lavoro presso l’azienda cedente solamente nel caso in cui l’impresa cessionaria non applichi alcun contratto collettivo, mentre, in caso contrario, la contrattazione collettiva dell’impresa cedente e’ sostituita immediatamente ed in tutto da quella applicata nell’impresa cessionaria anche se piu’ sfavorevole” (Cass. n. 5882/2010 e numerose conformi)” (Corte di Cassazione, Sezione Lavoro civile, Ordinanza 17 gennaio 2019, n. 1190).

E ancora “In caso di fusione di una società con un’altra si verifica …omissis… una successione a titolo universale e, quanto ai rapporti di lavoro, opera la disciplina di cui all’art. 2112 c.c., sicché i dipendenti transitati sono soggetti al contratto collettivo applicabile presso la società incorporante, anche se più sfavorevole, atteso il loro inserimento nella nuova realtà organizzativa e nel mutato contesto di regole, anche retributive, potendo trovare applicazione l’originario contratto collettivo nel solo caso in cui presso l’incorporante i rapporti di lavoro non siano regolamentati da alcuna disciplina collettiva” (Corte di Cassazione, Sezione L civile, Sentenza 29 settembre 2015, n. 19303).

Per quanto riguarda invece i trattamenti riconosciuti a livello individuale, occorrerà verificare se si tratta di benefici riconosciuti per le qualità personali o professionali dell’ interessato, ed in tal caso sono intangibili, ovvero di trattamenti attribuiti ad personam, ma concernenti le modalità di espletamento dell’attività lavorativa (ad esempio un’indennità di turno) o situazioni logistiche (ad esempio un’indennità per località disagiata), per le quali si può ipotizzare la loro eliminazione con il venir meno dei presupposti che ne avevano motivato il riconoscimento.

Inoltre, sempre secondo giurisprudenza, “Nel caso di trasferimento di azienda, il riconoscimento, in favore dei lavoratori dell’azienda ceduta, dell’anzianità maturata presso il cedente non implica che il cessionario debba corrispondere gli scatti di anzianità in riferimento a tale anzianità, essendo questi dovuti solo a partire dal periodo lavorativo regolato dalla contrattazione applicata presso il cessionario” (Corte di Cassazione, Sezione L civile, Sentenza 6 maggio 2015, n. 9111). Questo perché “la distinzione, “tra anzianita’ fatto storico, che di per se’ non genera diritti, e diritto che deriva solo a seguito di norme che considerano tale fatto storico quale presupposto di fatto per il suo riconoscimento”; e’ stato dunque precisato che deve “ritenersi non imposta dall’articolo 2112 c.c., la ricostruzione del trattamento scatti secondo la disciplina collettiva in essere presso il cessionario in riferimento all’anzianita’ maturata in precedenza presso l’ente cedente”; cio’ perche’ il diritto agli scatti non e’ correlabile con l’anzianita’ gia’ conseguita, appunto perche’ presso il datore di lavoro precedente non esisteva  tale diritto e comporterebbe una applicazione retroattiva del nuovo trattamento contrattuale, non imposta ne’ prevista dalla legge”. (Corte di Cassazione, Sezione Lavoro civile, Sentenza 9 dicembre 2019, n. 32070)

Inoltre, “nell’ipotesi di trasferimento d’azienda, si applica la contrattazione integrativa aziendale del cessionario e non già del cedente: posto che il contratto integrativo aziendale, così come il diritto riconosciuto dall’uso aziendale (parificabile ad esso sul piano dell’efficacia nei rapporti individuali, quale fonte di un obbligo unilaterale di carattere collettivo del datore di lavoro, sostitutivo delle clausole contrattuali e collettive in vigore con quelle proprie più favorevoli, a norma dell’art. 2077, secondo comma c.c.), non sopravvive al mutamento della contrattazione collettiva conseguente al trasferimento di azienda (anche se quella applicata dall’impresa cessionaria sia più sfavorevole: Cass. 23 gennaio 2019, n. 1840); sicché, operando come una contrattazione integrativa aziendale, subisce la stessa sorte dei contratti collettivi applicati dal precedente datore di lavoro e non è più applicabile presso la società cessionaria dotata di una propria contrattazione integrativa (Cass. 13 agosto 2009, n. 18300; Cass. 11 marzo 2010, n. 5882; Cass. 18 giugno 2018, n. 16037)” (Corte di Cassazione con sentenza n. 7721 del 15.3.2021). Da ciò discende che la prassi aziendale può anche essere mutata unilateralmente da parte del datore di lavoro quando sia mutata l’organizzazione del lavoro (vedi Cass. n. 18593 del 21/08/2009) o il contesto normativo di riferimento .: “L’uso aziendale, quale fonte di un obbligo unilaterale di carattere collettivo che agisce sul piano dei rapporti individuali con la stessa efficacia di un contratto collettivo aziendale, presuppone non già una semplice reiterazione di comportamenti, ma uno specifico intento negoziale di regolare anche per il futuro determinanti aspetti del rapporto lavorativo; nella individuazione di tale intento negoziale non può prescindersi dalla rilevanza dell’assetto normativo positivo in cui esso si è manifestato… omissis …” (Cass. 15489 del 11/7/2007).

La Corte ha ritenuto che gli usi aziendali, vale a dire i comportamenti unilaterali e consolidati adottati dal datore di lavoro, migliorativi dei contratti collettivi agiscano sul rapporto di lavoro allo stesso modo dei contratti collettivi. Ne consegue che gli usi aziendali seguono la sorte dell’intera contrattazione collettiva in uso presso l’azienda cedente, nei suoi diversi livelli: gli usi aziendali vengono quindi sostituiti da quelli adottati dall’azienda cessionaria, senza che sia applicabile l’art. 2077 codice civile ( il quale prevede che “Le clausole difformi dei contratti individuali, preesistenti o successivi al contratto collettivo, sono sostituite di diritto da quelle del contratto collettivo, salvo che contengano speciali condizioni più favorevoli ai prestatori di lavoro”). Quindi gli usi aziendali adottati dall’azienda cessionaria sostituiscono quelli adottati dal cedente anche se più sfavorevoli di quelli di quest’ultimo (Cass. 11 marzo 2010, n. 5882).

Alla luce della sopracitata giurisprudenza i trattamenti variabili, i benefits (ad es.  i buoni pasto, asili nido ecc.) possono non rientrare nel trattamento economico che il cessionario deve mantenere in caso di trasferimento.

Interpretazione elaborata in collaborazione con ISPER HR Review del 28 luglio 2021


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