PATTO DI NON CONCORRENZA – LAVORO SUBORDINATO | ADLABOR

Il datore di lavoro può vincolare il dipendente a non andare a lavorare per la concorrenza dopo la cessazione del rapporto per un periodo di tempo determinato stipulando un apposito patto che deve però avere precisi limiti di durata e di estensione e prevedere obbligatoriamente un corrispettivo per il lavoratore

Definizione e finalità

 

Il patto di non concorrenza è una clausola contrattuale con la quale le parti contraenti un rapporto di lavoro concordano sull’apporre dei limiti alla facoltà del lavoratore di svolgere attività, anche solo potenzialmente in concorrenza con il datore di lavoro, dopo la cessazione del rapporto di lavoro.

La finalità è quella di tutelare il know how aziendale di cui il lavoratore sia venuto in possesso in funzione dell’attività svolta presso quella stessa azienda

Forma

(Cod. Civ. art. 2125, co. 1)

Scritta, ad substantiam, che deve e deve riguardare anche tutti gli elementi del patto presi in considerazione dalla legge.

Il patto può essere validamente stipulato anche mediante sottoscrizione per accettazione di moduli o formulari

La mancanza della forma scritta determina la nullità dell’intero patto.

Giurisprudenza: L’art. 2125 c.c., che regola il patto con il quale si limita lo svolgimento dell’attività del prestatore di lavoro per il tempo successivo alla cessazione del contratto, prevede espressamente la necessità della forma scritta “ad substantiam”.( Cass.  19 dicembre 2001 n. 16026)

E’ legittimo il patto di non concorrenza che sia sottoscritto con documento separato, senza l’apposizione di un seconda sottoscrizione ai sensi dell’art. 1341 c.c., richiedendo la norma anzidetta una sottoscrizione specifica per gli accordi recanti ” … restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti con i terzi… ” solo nel caso di patto inserito in un complesso di condizioni contrattuali. (Trib. Milano 27 settembre 2005)

Momento di stipulazione Il patto di non concorrenza può essere legittimamente stipulato:

– prima dell’instaurazione del rapporto di lavoro;

– in costanza di rapporto di lavoro;

– dopo la cessazione del rapporto di lavoro.

Condizioni sostanziali  di legittimità

(Cod. Civ. art. 2125, co. 1)

 

(Cod. Civ. art. 2125, co. 1)

 

(Cod. Civ. art. 2125, co. 2)

Il patto di non concorrenza è valido se, oltre ad essere stato stipulato in forma scritta:

– è stato pattuito uno specifico corrispettivo a favore del prestatore di lavoro;

– se il vincolo è contenuto entro determinati limiti di oggetto;

– se il vincolo è contenuto entro determinati limiti di luogo;

– se il vincolo è contenuto entro determinati limiti di tempo.

La mancata previsione o l’indeterminatezza del corrispettivo e dei limiti di oggetto e di spazio, così come la  mancata previsione dei limiti di tempo determinano la nullità del patto

La previsione di limiti di tempo superiori a quelli massimi di legge non determina la nullità del patto, ma soltanto la loro riduzione ai limiti di legge

Corrispettivo

(Cod. Civ. art. 2125, co. 1)

Circa il corrispettivo da riconoscere al lavoratore per il patto di non concorrenza è necessario che esso sia:

– determinato o determinabile, calcolato sia in cifra fissa, sia in percentuale sulla retribuzione. Per una parte della giurisprudenza, non può essere corrisposto in costanza di rapporto di lavoro, in quanto ciò da un lato lo renderebbe aleatorio ed indeterminato (legandolo alla durata del rapporto di lavoro) e, dall’altro, ne snaturerebbe la funzione, premiando la fedeltà del lavoratore, anziché  compensarlo per il sacrificio derivante dall’osservanza del patto.

Giurisprudenza: E’ nullo, ai sensi dell’art. 2125 c.c., il patto di non concorrenza che prevede il pagamento del corrispettivo, non preventivamente determinato, in costanza di rapporto di lavoro, poiché la non prevedibilità della durata dello stesso rende aleatorio ed eventuale un elemento fondamentale del patto e, cioè, il prezzo dovuto al lavoratore per la sua parziale rinunzia al diritto al lavoro. (Trib. Ascoli Piceno  22 ottobre 2010)
  – congruo: per la maggioritaria giurisprudenza di merito la congruità va valutata al momento di attivazione del patto (cioè al momento della cessazione del rapporto) e con un ammontare parametrato alla retribuzione annua lorda del lavoratore, alla durata ed all’estensione territoriale del patto.
Giurisprudenza: Va ritenuto nullo il patto di non concorrenza che precluda al lavoratore lo svolgimento di qualsiasi attività nel settore specifico, nell’intero ambito nazionale e per la durata di anni tre, a fronte di un corrispettivo ragguagliato ad una cifra irrisoria (nella specie, di euro 100,00 una tantum), trattandosi di compenso “ictu oculi” manifestamente iniquo e sproporzionato in rapporto all’esteso sacrificio richiesto al prestatore ed alla considerevole riduzione delle sue possibilità di guadagno. (Trib. Teramo 30 marzo 2011   n. 209).

E’ valido il patto di non concorrenza che preveda la corresponsione in costanza di rapporto di un corrispettivo pari a circa 2,5% della retribuzione annua e, comunque, l’obbligo del datore di lavoro di corrispondere a tale titolo al lavoratore una somma complessiva, tenuto conto di quanto già percepito nel corso del rapporto, non inferiore al 40% dell’ultima retribuzione fissa annua lorda del lavoratore (Trib.  Milano 25 marzo 2011)

 

 

 

– se corrisposto in costanza di rapporto di lavoro: è retribuzione a tutti gli effetti.

 

Assoggettabilità contributiva e fiscale del corrispettivo

(art. 12 l. 30 aprile 1969 n. 153 e Cass. 16489/2009

 

(art. 17, comma 1, lett. a) DPR. 917/86 e Ag. Entrate, risoluz. 10.6.2008 n. 234/E)

 

 

 

 

Ai fini contributivi, il corrispettivo del patto di non concorrenza ex art 2125 c.c., anche se pagato dal datore di lavoro successivamente alla cessazione del rapporto di lavoro, costituisce retribuzione imponibile.

 

 

Ai fini fiscali, il corrispettivo del patto di non concorrenza ex art 2125 c.c.,  se pagato dal datore di lavoro successivamente alla cessazione del rapporto di lavoro, è assoggettato a tassazione separata (con applicazione della medesima aliquota di tassazione utilizzata per il TFR)

Giurisprudenza: Ai sensi dell’art. 12 l. 30 aprile 1969 n. 153 – secondo cui rientra nella base imponibile per il calcolo dei contributi previdenziali e assistenziali tutto ciò che il lavoratore riceve in dipendenza o in occasione del rapporto di lavoro – costituisce retribuzione imponibile il corrispettivo del patto di non concorrenza ex art 2125 c.c., anche se pagato dal datore di lavoro successivamente alla cessazione del rapporto di lavoro, in quanto emolumento erogato in dipendenza di un rapporto di lavoro subordinato – ancorché per un’obbligazione di “non facere” da adempiere nel tempo successivo alla sua cessazione – e in funzione di compenso a fronte delle limitazioni lavorative per tale tempo convenute. (Cassazione civile  sez. lav. 15 luglio 2009  n. 16489)
Note: Nella logica del prevalente orientamento giurisprudenziale, è da ritenersi che l’unico caso in cui il corrispettivo del patto di non concorrenza potrebbe essere legittimamente escluso dall’imponibile contributivo, è quello del patto di non concorrenza stipulato dopo la cessazione del rapporto di lavoro, con autonomo accordo tra ex datore di lavoro ed ex dipendente: solo in tal caso, infatti, il corrispettivo del patto potrebbe essere considerato totalmente estraneo al rapporto di lavoro.
Limiti di oggetto

 

L’oggetto del patto consiste nell’attività lavorativa (subordinata od autonoma) che il lavoratore si impegna a non svolgere una volta risolto il rapporto di lavoro e coincide di norma con le mansioni svolte in azienda.

Ove il limite di oggetto sia eccessivo od indeterminato, precludendo di fatto al lavoratore di svolgere qualsiasi attività coerente con le sue competenze ed esperienze professionali, il patto di non concorrenza è nullo

Giurisprudenza: Ai sensi dell’art. 2125 c.c., deve ritenersi nullo il patto di non concorrenza la cui ampiezza sia tale, in ragione del tipo di attività vietata e della sua estensione territoriale, da comportare una drastica limitazione della libertà della capacità lavorativa e professionale del lavoratore tenuto conto della specifica professionalità da questi acquisita (Trib. Milano 4 marzo 2009)
Limiti di luogo Il luogo del patto consiste nell’area geografica entro la quale il lavoratore si impegna a non svolgere una volta risolto il rapporto di lavoro.

Qualora il limite di luogo sia eccessivo od indeterminato, precludendo di fatto al lavoratore di svolgere qualsiasi attività coerente con le sue competenze ed esperienze professionali e che gli consenta di mantenere condizioni di ragionevole vita familiare e di relazione il patto di non concorrenza è nullo

Giurisprudenza: Ai sensi dell’art. 2125 c.c., la nullità del patto di non concorrenza per mancato rispetto dei limiti di oggetto, di tempo e di luogo è ravvisabile quando l’ampiezza del patto  (con il quale era stato inibito a un lavoratore di svolgere, per un periodo di tre anni e nell’intero territorio della Repubblica italiana, qualsiasi attività in concorrenza con quella del datore di lavoro) sia tale da comprimere l’esplicazione della concreta professionalità del lavoratore in limiti che non salvaguardino un margine di attività coerente con la professionalità acquisita e sufficiente per il soddisfacimento delle esigenze di vita del lavoratore (Trib.  Milano 8 giugno 2002)
Limiti di tempo del patto di non concorrenza

(art. 2125 Cod.

civ., commi 1 e 2)

La durata del vincolo di non concorrenza deve essere predeterminata al momento di stipula del patto.

Non può comunque essere superiore a cinque anni, se si tratta di dirigenti, e a tre anni negli altri casi. Se è pattuita una durata maggiore, essa si riduce nella misura sopra indicata.

Limiti di luogo del patto di non concorrenza

(art. 2125 Cod.

civ., comma 1)

I limiti di luogo (cioè le aree geografiche in cui il lavoratore si obbliga a non svolgere attività in concorrenza con il datore di lavoro) debbono essere determinati o determinabili e di ampiezza tale da non comprimere eccessivamente od impedire del tutto l’esplicazione della concreta professionalità del lavoratore.

Si ritiene che maggiore sia la fungibilità delle mansioni, minore debba essere l’estensione geografica del vincolo, così come pare opportuno che maggiore sia l’estensione geografica del vincolo, maggiore debba essere il corrispettivo.

Note: Non è possibile fornire indicazioni generali che precisino quando i limiti di spazio siano considerati legittimi. Si ritiene che uno dei criteri possa essere quello di collegare l’area geografica per la quale è legittimo il patto di non concorrenza al tipo di mansioni ed attività che costituiscono concretamente l’oggetto del patto,  basandosi sull’assioma che più le mansioni sono fungibili, più ristretta deve essere l’area geografica per la quale vige il divieto di concorrenza. A mò d’esempio, sono stati così ritenuti legittimi i patti che prevedevano come limite geografico:

–  l’intero territorio dei paesi della Comunità europea, per un ricercatore (Trib. Milano 22 ottobre 2003);

– il territorio dell’Emilia Romagna, per un intermediatore finanziario (Trib. Milano 25 giugno 2003)

– la provincia ove si svolgeva il precedente lavoro, per un commesso (Cass. 19 aprile 2002, n. 5691)

Per contro sono stati ritenuti illegittimi i patti che prevedevano come limite geografico:

– i territori di Lombardia, Lazio e Campania, per un  programmatore informatico (Trib.Milano 12 luglio 2007)

Giurisprudenza:  La valutazione circa la compatibilità dei vincoli di un patto di non concorrenza con la necessità di non compromettere la possibilità di assicurarsi il riferito guadagno costituisce oggetto di apprezzamento riservato al giudice del merito e come tale insindacabile in sede di legittimità se congruamente e logicamente motivato. (Cass.  4 aprile 2006  n. 7835)
Clausole aggiuntive

(artt. 1382, 1383, 1384 Cod. civ.)

In aggiunta ai limiti di oggetto, di tempo e di luogo, le parti contraenti il patto di non concorrenza possono pattuire clausole aggiuntive, che peraltro non siano in violazione dei principi indicati dall’art. 2125.

Vengono così ritenute lecite:

– la cosiddetta “clausola penale”, la clausola, cioè, che, nell’ipotesi di violazione del patto di non concorrenza da parte del lavoratore, preveda espressamente un risarcimento del danno a favore del datore di lavoro stipulante il patto predeterminato. Opportuno che tale clausola sia specificamente sottoscritta per accettazione;

– la clausola con cui si obbliga il lavoratore, una volta cessato il rapporto di lavoro a comunicare la sua nuova attività lavorativa;

– la clausola di rinunzia al patto da parte del datore di lavoro (purchè la rinunzia avvenga prima dell’eventuale comunicazione di recesso).

Sono state invece ritenute illecite, e pertanto nulle, le clausole che prevedano, successivamente alla comunicazione della cessazione del rapporto di lavoro, la facoltà del datore di lavoro di avvalersi o meno del patto di non concorrenza.

Giurisprudenza: La previsione della risoluzione del patto di non concorrenza rimessa all’arbitrio del datore di lavoro concreta una clausola nulla per contrasto con norme imperative.(Cass. 8 gennaio 2013 n. 212)
Tutele per l’ex-datore di lavoro

 

 

 

 

 

 

(Cod. civ. art. 2598)

In caso di violazione del patto di non concorrenza da parte del lavoratore, l’ex-datore di lavoro può, nei confronti del lavoratore stesso:

– ottenere la tutela inibitoria volta all’immediata cessazione della condotta illecita;

– ottenere da parte del lavoratore il pagamento della penale, se questa era stata concordata all’interno del patto di non concorrenza;

– sospendere il pagamento del corrispettivo o chiedere la restituzione di quanto già corrisposto;

–  ottenere l’eventuale risarcimento del danno.

Ove l’eventuale nuovo datore di lavoro (o committente) sia stato a conoscenza dell’esistenza del patto e ciò nonostante abbia instaurato un rapporto di lavoro con il lavoratore, l’ex-datore di lavoro può imputare al nuovo datore la violazione del divieto di concorrenza integrandosi, in presenza di alcuni presupposti, una fattispecie di concorrenza sleale.

 

Giurisprudenza: L’assunzione di un ex dipendente di un concorrente, ancora vincolato da un valido patto di non concorrenza, chiamato a svolgere la propria attività nello stesso settore, e nella stessa area di operatività di tale patto, così avvalendosi delle sue conoscenze sul territorio e della sua competenza, costituisce condotta di concorrenza sleale per sviamento di clientela, cui concorre lo stesso ex dipendente. Deve pertanto essere inibito all’impresa che ha posto in essere l’illecito di continuare ad avvalersi, in quell’area geografica, delle prestazioni del dipendente. (Trib.  Venezia 12 luglio 2007)

In caso di violazione di un patto di non concorrenza può essere concessa al datore di lavoro la tutela inibitoria volta all’immediata cessazione della condotta pregiudizievole. (Trib. Milano 22 ottobre 2003)           

Sanzioni per il lavoratore In caso di violazione del patto di non concorrenza da parte del lavoratore, questi sarà soggetto ad un risarcimento del danno subito, calcolato sia in misura predeterminata con la c.d. clausola penale, sia anche in funzione del danno effettivamente subìto dal datore di lavoro (e da quest’ultimo dimostrato).

Inoltre, il datore di lavoro potrà essere concessa la tutela inibitoria volta all’immediata cessazione della condotta pregiudizievole.

Giurisprudenza: L’assunzione di un ex dipendente di un concorrente, ancora vincolato da un valido patto di non concorrenza, chiamato a svolgere la propria attività nello stesso settore, e nella stessa area di operatività di tale patto, così avvalendosi delle sue conoscenze sul territorio e della sua competenza, costituisce condotta di concorrenza sleale per sviamento di clientela, cui concorre lo stesso ex dipendente. Quest’ultimo deve cessare ivi ogni attività lavorativa (Trib.  Venezia 12 luglio 2007)           

Giurisprudenza: Tribunale di Milano 22 ottobre 2003


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