In assenza di specifiche disposizioni di legge (eccezion fatta per la circolare del Ministero della salute n. 3190/2020, destinata agli operatori che per ragioni lavorative vengano a contatto con il pubblico), indichiamo alcuni primi orientamenti operativi ricordando comunque che, in base all’articolo 2087 del Codice civile e al Dlgs 81/2008, il datore di lavoro ha sempre l’obbligo di tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori in azienda.
1) sospensione dell’attività presso il Comune o la regione in cui è ubicata l’unità produttiva: nel caso in cui l’attività economica svolta dall’azienda sia sospesa per ordine dell’autorità pubblica, per la corretta gestione delle assenze e la relativa esposizione sul LUL bisogna tener presente che si tratta di assenze non imputabili al datore di lavoro: il datore di lavoro non è pertanto obbligato a pagare la retribuzione né a versare i contributi. I datori di lavoro che rientrano nel relativo campo di applicazione possono però richiedere la cassa integrazione guadagni;
2) lavoratore trovato positivo al coronavirus: la sua assenza sarà considerata dovuta a malattia. Il datore di lavoro dovrà informare tempestivamente il medico competente e l’incaricato aziendale Rspp: sarà poi il medico a informare l’autorità sanitaria locale che darà le indicazioni necessarie;
3) lavoratore con sintomi di sospetta infezione da coronavirus: il datore di lavoro dovrà informare tempestivamente il medico competente e l’incaricato aziendale Rspp: sarà poi il medico a informare l’autorità sanitaria locale che darà le indicazioni necessarie;
4) lavoratore posto in quarantena: nel caso di un lavoratore che risiede in uno dei comuni posti in quarantena, l’assenza è giustificata, ma, qualora non sia riscontrabile dal medico alcun sintomo influenzale, il lavoratore non potrà essere considerato in malattia, ma o assente giustificato, con conseguente perdita della retribuzione, oppure assente con fruizione di ferie o permessi retribuiti. Nel caso in cui possa svolgere attività lavorativa con modalità di telelavoro/lavoro agile, sarà considerato regolarmente al lavoro;
5) imprese con sede in zone non destinatarie di provvedimenti di emergenza: qualora sia l’impresa a decidere, di propria iniziativa, di sospendere l’attività lavorativa, l’assenza sarà considerata come permesso retribuito aggiuntivo a quello contrattuale, a meno che l’azienda non sia in grado di dimostrare che, a fronte di un concreto rischio di contagio, sia stato inevitabile adottare misure di prevenzione e sanificazione degli ambienti. In tal caso l’assenza sarà non retribuita, salvo che i datori di lavoro che rientrano nel relativo campo di applicazione richiedano la cassa integrazione guadagni;
6) lavoratore che decida volontariamente di non andare al lavoro in aziende non interessate a provvedimenti di sospensione dell’attività: in questo caso il lavoratore non solo non matura alcun diritto alla retribuzione, ma l’assenza potrà essere considerata ingiustificata.
7) lavoratori in trasferta o da inviare in trasferta: se la trasferta fosse considerata inevitabile e il timore di contagio fondato, il datore di lavoro dovrebbe valutare soluzioni alternative (ad esempio video-conference). Diversamente, se il timore fosse infondato, l’azienda proporrà possibili precauzioni aggiuntive e, se il dipendente dovesse ancora rifiutarsi, il datore di lavoro potrà procedere disciplinarmente.
Per consultare la circolare del Ministero della salute, clicca qui.